Reduce dall'esperienza al Mondiale in Qatar, l'arbitro italiano Orsato si è presentato in Ticino per raccontarsi fra aneddoti e molto altro
«Quante volte mi sono sentito dire “sei un asino”»
MASSAGNO - È un vero e proprio “top player” della classe arbitrale a livello planetario. Non a caso recentemente è stato nominato miglior fischietto del Mondiale in Qatar, dove - fra le altre - ha diretto la partita inaugurale e la semifinale Argentina-Croazia. Lui è Daniele Orsato, il quale lunedì a Massagno ha incontrato i giovani arbitri della Federazione ticinese di calcio (l’evento era aperto a tutti i curiosi) per una serata imperdibile. Una serata nella quale il 47enne veneto, arbitro internazionale con un palmarès di tutto rispetto dove spicca la finale di Champions League del 2020 fra PSG e Bayern Monaco, ha intrattenuto il pubblico presente con racconti, aneddoti, curiosità, filmati, ecc. Un’oretta e mezza molto ricca che ha sicuramente riempito il bagaglio dei presenti ma soprattutto dei direttori di gara della FTC.
"Non permettere mai a nessuno di dirti che non sei capace di fare una cosa. Se hai un sogno inseguilo", questo il motto con cui Orsato ha voluto accompagnare tutti nel suo viaggio ticinese. Un viaggio (quasi) senza filtri... «Il mio sogno da bambino era quello di fare l’elettricista, per me l’arbitro era solo uno sfigato che veniva insultato. Già a 8/9 anni mi interessavo a tutto ciò che ruotava attorno alla professione dell'elettricista. Messi aveva il sogno di alzare la Coppa del Mondo? Ecco, per me era quello di fare l’elettricista, lavoro che ho svolto con tantissima gioia per qualche anno».
E poi? È arrivata la classica giornata che cambia la vita? «Esattamente. Un giorno, nell'ottobre del 1992, mi fu chiesto “Vieni a fare l’arbitro?”. La mia risposta? “Ma tu sei matto”. La stessa sera cominciò il corso ma, prima di accettare, chiesi quanto tempo ci volesse per arrivare in Serie A. 16/17 anni mi dissero. Svegliai mia madre nel pieno della notte e le dissi “Mamma fra 16 anni sono in A”, ma lei si girò dall’altra parte...».
Promessa mantenuta? «Il 4 luglio 2006, mentre stavo montando un impianto, ricevetti una telefonata di sette secondi da parte di Luigi Agnolin - commissario straordinario dell’Aia - nella quale mi disse che ero appena stato promosso in Serie A. Quante emozioni...».
Un mestiere complicato, stressante e perennemente al centro delle critiche: «Quante volte mi sono sentito dire “sei un asino”. Ma a 47 anni (compiuti durante la Coppa del Mondo, ndr) ho avuto la fortuna di arbitrare un Mondiale. La cosa difficile non è arrivare, ma restare in alto. Il segreto? In campo non possiamo far percepire che abbiamo sbagliato perché altrimenti la partita è finita. Quando un direttore di gara riesce a evitare le proteste dei giocatori, diciamo che il 50% del lavoro l'ha già fatto. In campo non devi mai dire ai giocatori “Ho sbagliato” ma “Se avrò sbagliato lo vediamo dopo, andiamo avanti”. Terminata la partita, siamo i primi a essere consapevoli se abbiamo fornito o meno una buona prestazione».
Com’è andata la prima volta a San Siro? «Era un Milan-Siena nel 2008 e prima di guardare il terzo anello ci ho messo quasi venti minuti. A un certo punto Maldini, dopo un fallo fischiato, mi ha detto “Ma cosa stai facendo? Vai a vedere in TV e vedrai che hai sbagliato”. Gli ho risposto che arrivavo da un paese dove non c'era la Televisione! Vergassola, il capitano del Siena di allora, mi disse “Ma tu tratti così Maldini?”. Questo per dire quanto è importante mettere sin da subito le cose in chiaro con i calciatori, altrimenti è finita. Senza, evidentemente, mai mancare loro di rispetto».
Sulla tanto discussa sudditanza psicologica: «Non esiste, ve lo assicuro. Esiste semmai la pressione dello stadio, dei grandi stadi...».