Il difensore del Davos: «Voglio chiudere la carriera giocando ancora qualche partita».
«Mi chiedo come si possa andar dritti per la propria strada quando spettatori, giocatori, allenatori e sponsor sono schierati tutti dalla stessa parte».
DAVOS - Ai box da sei mesi a causa di un infortunio al tendine d'Achille, Félicien Du Bois spera di poter salutare l'hockey giocato disputando ancora qualche partita. In tal senso il difensore del Davos, che negli scorsi mesi aveva deciso di appendere i pattini al chiodo al termine di questo campionato, sta lavorando alacremente per raggiungere l'obiettivo.
Oltre al suo stato di salute, con il 37enne - membro dell'associazione dei giocatori di National League - abbiamo approfittato per parlare della tanto discussa riforma dell'hockey svizzero. Un tema che ha inevitabilmente creato una miriade di polemiche.
Félicien, partiamo dalle tue condizioni fisiche. Ti rivedremo sul ghiaccio?
«Proprio in questi giorni sono tornato in pista per vedere come va. Nelle prossime due-tre settimane valuterò la tenuta del mio corpo e di conseguenza la possibilità di scendere sul ghiaccio per un incontro. Il mio obiettivo è quello di poter giocare almeno dieci partite della stagione regolare prima della post-season. Farne solo due o tre non avrebbe alcun senso: se dovesse essere così, me ne farei però una ragione...».
Negli scorsi giorni si è deciso di aumentare il numero degli stranieri a partire dalla stagione 2022-23. Una scelta che in pochi hanno capito...
«È soltanto una parte di un pacchetto molto più ampio. Non tocca me dire se sia giusto o sbagliato. Le conseguenze le vedremo soltanto in futuro, attualmente sono solo speculazioni».
I giocatori si sono schierati praticamente tutti dalla stessa parte. Eppure...
«È la mancanza di collaborazione tra le diverse parti che ci ha deluso maggiormente. I club sono una componente importante del nostro prodotto, così come i giocatori. Uno non può fare a meno dell'altro. Siamo tutti coscienti che a livello finanziario le società fatichino, ma non capisco il bisogno di cambiare così radicalmente. Tanto più senza ascoltare il parere di tutte le parti in causa. I giocatori sono gli artisti, coloro che vanno sul ghiaccio e garantiscono lo spettacolo. Eppure non c'è stato nessun dialogo...».
Patrick Fischer ha dichiarato di aver appreso la notizia dalla stampa. Sembra surreale...
«Esattamente. Pretendevamo almeno uno scambio d'opinioni, che non c'è stato. Mi chiedo come si possa comunque andar dritti per la propria strada quando spettatori, giocatori, allenatori e sponsor si sono schierati tutti dalla stessa parte. C'è una totale mancanza di comunicazione. Com'è possibile? Ricordiamoci che tra tre-quattro anni, qualora si accorgessero di aver intrapreso la strada sbagliata, sarebbe dura fare marcia indietro».
Questa sarà musica del futuro. A proposito di ciò, cosa ti riserverà il dopo-hockey?
«Resterò al 50% impiegato a Davos portando avanti diversi progetti soprattutto legati al settore giovanile. Non nella veste di allenatore bensì dietro le quinte. Nel restante 50% riprenderò gli studi frequentando la Fachhochschule di Coira nel ramo Sport Management ed economia. Ho intenzione di aumentare il mio bagaglio di conoscenze, alternando teoria e pratica. Mi piacerebbe rimanere anche in futuro nel mondo dell'hockey. Faccio dunque questo passo indietro per poi farne alcuni avanti in futuro...».
Come hai vissuto questi mesi di pandemia?
«Con enorme rispetto. Mi sono informato tanto seguendo un sacco di telegiornali. Ho sofferto un po' per la mancanza dei contatti sociali, chiedersi due o tre volte se fare o meno una cena era qualcosa a cui non eravamo abituati. Ciò che mi è mancato di più? Direi i viaggi. Concedersi ogni tanto un weekend in famiglia lontano da casa è sempre bello. Speriamo di poter tornare presto alla vita di prima».