Il giovane portiere dell'Hcl racconta la sua vita in equilibrio tra studio e pista
Il segreto? «Con sei allenamenti e due partite a settimana, penso che il trucco sia non stancarsi mai del tutto. Bisogna imparare a gestire il tempo e organizzarsi per riuscire a seguire le lezioni e progredire nell’hockey»
LUGANO - Thibault Fatton, classe 2001, difende la gabbia dell’Hcl Under 20 Elite. A gennaio ha firmato un contratto con il club bianconero per diventare portiere della prima squadra per le stagioni 2021/22 e 2022/23. Un sogno che si realizza per un ragazzo che gioca ad hockey da quando era piccolo.
Quando hai cominciato?
«Avevo 5 anni. Andavo spesso a guardare le partite della squadra della mia città con mio papà, anche lui giocatore, ma a livello amatoriale. Ho deciso di lasciare La Chaux-de-Fonds a 16 anni, quando il Lugano mi ha contattato e mi sono dunque trasferito in Ticino, militando nelle categorie U18, U19 e U20 con la Nazionale e U20 con il Lugano. Ho giocato anche in serie B con il Biasca e quest’anno ho disputato venti minuti con la prima squadra dell’Hcl».
Quest’anno hai partecipato ai Mondiali U20. Come è andata?
«Si sono svolti dal 25 dicembre al 6 gennaio in Canada, ma la nostra avventura è finita già il 31 dicembre. Non è andata come speravo e non siamo riusciti ad accedere ai quarti di finale. Tuttavia, sono contento di come ho giocato perché ho fatto tre belle partite contro delle ottime nazionali come Finlandia, Germania, Slovacchia. Sono fiero di me, anche perché erano i miei primi Mondiali ed era importante farsi notare a questi livelli».
Recentemente hai firmato un contratto con l’Hcl. È sempre stato il tuo sogno diventare professionista?
«Da piccolo non conoscevo bene l’hockey dei prof. Certo, volevo giocare nella prima squadra de La Chaux-de-Fonds, ma l’avrei fatto gratis. Poi ho capito che volevo fare del mio sport il mio lavoro. Il contratto non me l’aspettavo: è stata una bellissima sorpresa. Ho lavorato tanto per raggiungere i miei obiettivi e finalmente sono entrato nel mondo professionistico».
Attualmente sei ancora in formazione. È difficile conciliare studio e sport?
«Sì, è molto impegnativo. Ottenere un diploma in una scuola richiede tanto tempo. Anche l’hockey necessita impegno ed energia e attualmente sono occupato con sei allenamenti e due partite a settimana. Penso che il trucco sia non stancarsi mai del tutto. Bisogna imparare a gestire il tempo e organizzarsi per riuscire a seguire le lezioni e progredire nell’hockey».
Come si svolgerà il tuo prossimo anno?
«Grazie alla scuola per sportivi d’élite di Tenero ho la fortuna di poter dividere l’anno scolastico: nella prima parte faccio la metà delle materie, il resto lo recupero nell’anno successivo. Ho più tempo per lo sport, per riposarmi e per studiare. Questo mi aiuta perché frequentando un’altra scuola sarebbe stato difficile e stancante. Non avrei mai avuto tempo per me stesso. Anche l’anno prossimo penso che dividerò il programma per riuscire a dare il massimo con il Lugano».
Credi sia più importante lo studio o lo sport?
«Entrambi. Il mio piano A è di riuscire nell’hockey perché è la mia passione più grande. Purtroppo però basta un infortunio per interrompere la carriera di uno sportivo. È necessario avere un piano B e la scuola può garantirmelo».
Quali consigli daresti ai ragazzi che sognano di sfondare?
«Pazienza, organizzazione, determinazione. Bisogna lavorare sodo. Se vuoi essere il migliore è il lavoro che paga e questo non vale solo nell’hockey».
Il coronavirus non ha fermato i Mondiali in Canada
Anche i Mondiali U20 quest’anno hanno subito alcuni cambiamenti a causa del coronavirus e le forti misure restrittive per evitare qualsiasi contagio hanno messo a dura prova anche i giovani sportivi. «Prima di partire per il Canada abbiamo dovuto fare tre tamponi per il Covid-19 e, ciononostante, quando siamo arrivati abbiamo dovuto sottoporci a quattro giorni di quarantena, isolati in camera», spiega Thibault Fatton. I giocatori potevano percorrere solo il tragitto albergo-pista, evitando dunque qualsiasi relazione non necessaria e sottoponendosi a un test giornaliero. «Alle partite non hanno potuto presenziare gli spettatori, ma solo i giornalisti. Di solito se ne contano migliaia. L’evidente conseguenza della loro assenza è stata la mancanza di tifo: sul ghiaccio ti senti meno motivato, ma è giusto che quest’anno sia andata così. Proteggere i giocatori, gli staff e i professionisti del mondo dei media era fondamentale e ci ha permesso di giocare in sicurezza».