Matteo Nodari non guarda solo al presente: «Ho iniziato gli studi in Sport Management, ma anche allenare mi stuzzica. Chissà...»
Il difensore del Kloten aveva lasciato Lugano lo scorso mese di gennaio: «McSorley? Trovo che il suo messaggio faticava a passare. Gianinazzi scelta corretta, ora però bisogna dargli tempo».
KLOTEN - Alzi la mano chi si aspettava di trovare, dopo oltre metà campionato, il Kloten all'ottavo posto davanti a entrambe le ticinesi. Nei canonici pronostici della vigilia quasi tutti indicavano la formazione neopromossa nei bassifondi della graduatoria. E invece no, gli Aviatori - dopo un inizio di stagione molto complicato - hanno cambiato marcia, tanto da raggiungere un buon ritmo di crociera. Fra i protagonisti di questa cavalcata c'è anche il difensore ticinese Matteo Nodari, uno degli uomini con maggior esperienza presente nel roster zurighese. Dopo la sua (sfortunata) esperienza a Lugano - terminata nel bel mezzo dello scorso torneo - il 35enne aveva deciso di cambiare aria ripartendo dalla Swiss League, "tramutata" qualche settimana più tardi in National League grazie alla promozione ottenuta con il Kloten.
Matteo, state sorprendendo un po' tutti...
«A inizio campionato avevamo fin troppo rispetto dei nostri avversari e ci siamo detti che non potevamo accontentarci di essere nella massima serie. È stato dunque molto importante il dialogo all'interno del gruppo. Con il passare delle partite abbiamo inoltre cambiato un paio di aspetti del sistema di gioco. Sì, è stato fatto un lavoro a 360 gradi e ora sappiamo di poter lottare nella parte centrale della classifica, pur consapevoli che arriveranno altri momenti difficili».
Siete partiti con l'obiettivo-salvezza, ma ora siete a cinque punti dai playoff diretti...
«Siamo onesti, sulla carta non siamo da ottavo posto. L'importante adesso è potersela giocare fino in fondo per i pre-playoff, non ci poniamo limiti».
È spesso una questione di scintilla insomma...
«Abbiamo tanti leader in squadra. Quando a inizio campionato le cose non andavano bene, questi giocatori - che non sono necessariamente quelli che ogni sera finiscono sul tabellino - sono emersi. Un altro aspetto fondamentale è che nessuno ha messo pressione su quei giocatori, in particolare sugli stranieri, che inizialmente hanno un po' deluso le aspettative. Hanno avuto il tempo per ambientarsi e ora anche per loro le cose vengono più facili».
Quanto è stato importante Jeff Tomlinson nella vostra crescita?
«Umanamente è il miglior allenatore che abbia mai avuto. Prima di un ottimo coach è soprattutto una grande persona, che ti sta vicino anche nelle questioni extra sportive. Questo è un aspetto che al giorno d'oggi fa la differenza».
Un allenatore che negli ultimi anni ha raccolto risultati notevoli...
«Certamente, è un allenatore completo e soprattutto è un grande motivatore. D'altronde, il suo curriculum parla per lui. Non è evidente in pochi anni portare due squadre diverse dalla Serie B alla Serie A. Quello che ha fatto con i Lakers, vincendo anche una Coppa Svizzera, trovo sia qualcosa di straordinario».
Come vanno le cose a Kloten a livello personale?
«Mi trovo benissimo. In passato avevo detto che un giorno sarei tornato a Lugano perché il mio sogno era di poter vincere un titolo con la squadra per cui tifo sin da bambino. Le cose purtroppo non sono andate come speravo, ma nella vita ho imparato a guardare sempre avanti. Sono dunque contento della scelta che ho fatto di venire qui».
A 35 anni stai già pensando un po' al dopo-hockey?
«Ho ancora un anno di contratto, ma con una famiglia e quattro figli non posso certamente pensare soltanto a giocare. Non so davvero se il prossimo sarà il mio ultimo campionato della mia carriera, mi lascerò sorprendere».
Quale percorso ti piacerebbe intraprendere una volta appesi i pattini al chiodo?
«Ho iniziato gli studi in Sport Management, ramo in cui ho già superato un esame. In contemporanea mi sto occupando anche di Project Management, dove il prossimo mese di novembre terrò il primo esame alla Supsi di Lugano».
Ti vedi un giorno nel ruolo di direttore sportivo?
«Perché no? Ma anche la panchina è qualcosa che mi ha sempre stuzzicato ed è per questo che sto seguendo dei corsi per diventare allenatore. Qui a Kloten sono impegnato con la U17 insieme a Martin Höhener e Romano Lemm, così da mettere in pratica ciò che imparo».
Quanto ti fa male vedere il Lugano arrancare?
«Da ticinese e da bianconero mi dispiace tanto. È un club che non riesce più ad avere quella stabilità che aveva ai tempi e anche dall'esterno è qualcosa che gli altri club percepiscono. Spero possano presto ritrovare smalto».
Parlavi di stabilità, con Gianinazzi ci si augura che il primo passo sia stato fatto...
«La reputo una scelta giustissima, la migliore che potessero fare. Adesso però bisogna dargli tempo, aiutarlo, stargli vicino e portare a Lugano i giocatori congeniali al suo gioco. Servirà tempo...».
Cosa non ha funzionato con McSorley?
«Umanamente non ho nulla da dire su Chris, nei mesi trascorsi con lui sono sempre andato d'accordo. Trovo però che il suo messaggio faticava a passare».
Come mai?
«La vecchia generazione di allenatori oggi fatica a farsi strada. Sono cambiate tante cose, tattiche, schemi e soprattutto i metodi di lavoro. Luca, invece, è un allenatore moderno e sa cosa ci vuole per provare ad avere successo».
Natale fa anche rima con Coppa Spengler: la stai seguendo?
«Qualcosa sì, ma sto guardando più che altro i Mondiali U20. Abbiamo davvero dei giocatori interessanti. Con l'introduzione dei sei stranieri nel nostro campionato, è importante che i nostri giovani continuino comunque a progredire».