A Davos ha incantato, in NHL - 24 stagioni condite da 1'673 punti - è stato tra i migliori assist-man di sempre
A 44 anni Joe Thornton ha appeso i pattini al chiodo. Samuel Guerra: «Una volta, dopo una trasferta a Ginevra, "dirottò" il bus per fermarsi al McDonald's e offrire la cena a tutti. Trasmetteva sicurezza, ti sembrava di conoscerlo da una vita».
DAVOS/SAN JOSE - Se n’è andato. No niente paura, niente lacrime né abiti neri. Sta bene. Anzi benissimo. A 44 anni lo abbiamo appena visto con tanto di cappello e costume da bagno ufficializzare il proprio ritiro. Niente discorsi commoventi, siamo qui “solo” per ricordare le gesta sportive di Joe Thornton, per tutti l’Indimenticabile ed eccentrico Jumbo Joe. Una delle barbe più iconiche dello Sport e della NHL, al pari del suo ex compagno Brent Burns.
Un connubio, se ci concedete un “mashup” preso in prestito dalla NBA, tra James Harden (Il Barba per eccellenza) e Kevin Garnett, che dalle parti di Minneapolis, dove ha speso una vita prima di passare ai Boston Celtics e vincere finalmente il titolo, in tanti non esitavano a chiamare “Il re senza corona”. Poi Garnett la corona se l’è presa nel 2008 riportando sul trono i biancoverdi 22 anni dopo l’ultima volta, Thornton no. In 24 stagioni in NHL ha solo flirtato col bersaglio grosso, inteso come la Stanley Cup. Una mancanza che non toglie lustro al campione che è stato. Diverso il discorso con la Nazionale canadese (oro Olimpico nel 2010) e nelle sue parentesi su suolo elvetico, dove - tutti noi appassionati - ce lo ricordiamo benissimo.
Primi passi
Mani d’oro e fisico possente. Dominante a livello giovanile, da subito si impone e brilla per le sue innate qualità di leader e assist-man (tra i migliori di sempre). Messo in bacheca il titolo di Rookie dell'anno in OHL, nel 1997 viene draftato come prima scelta assoluta dai Bruins. A Boston, dove inizia col numero 6 prima di passare allo storico 19, ha vissuto otto stagioni di luci e ombre. Giocate illuminanti (da “Tic Tac Toe"), qualche bagarre di troppo e - attorno a lui - anche qualche mugugno per la spensieratezza con cui viveva la routine quotidiana. «L’hockey resta un gioco», ma di questo parleremo dopo. Una storia finita nel 2005, quando Thornton diventa uno squalo.
Big Joe californiano
A San Jose arriva dopo un trade colossale e fa la fortuna degli Sharks vivendo stagioni anche eccellenti. Il primo impatto parla di 101 punti in 69 partite. Negli anni vi diventa capitano - lo era già stato anche a Boston - e grazie alle sue qualità di centro trova intese importanti con Cheechoo, Marleau, Pavelski e altri sniper pronti a capitalizzare i suoi assist. La finale del 2016, persa in sei partite contro i Penguins di Crosby, Kessel, Letang e Malkin, resta un rimpianto.
Gli ultimi balli
La carriera di Thornton si chiude con un bottino clamoroso che lo vede a quota 1'673 punti (462 gol) in 1'901 partite. Numeri alla mano, calcolando solo la regular season, è il settimo miglior assist man di tutti i tempi. Lasciati gli amati Sharks nel 2020 dopo un storia lunga 15 anni, nelle ultime stagioni ha indossato anche le maglie di Toronto e Florida per due brevi parentesi. Proprio con i Panthers, nei playoff, ha giocato l’ultima partita il 24 maggio 2022.
Davos, amore a prima vista
Non un romanzo rosa, ma a tinte gialloblù. Quella col Davos è stata ed è una storia d’amore a tutti gli effetti. Benedetto sia il lockout del 2004, quando in Europa arrivarono manciate di star di livello Mondiale. Alla Vaillant Arena, in un sol colpo, sbarcarono Joe Thornton, Rick Nash e Nicklas Hagman. Un’annata memorabile coi trionfi alla Spengler e in campionato. Jumbo Joe firmò 79 punti in 54 partite (14 gol). In Svizzera ha incontrato anche la donna della sua vita, con la quale si è sposato e ha avuto due figli. Col Davos ha poi giocato in altre due occasioni: nel lockout del 2012/13 (33 partite, 36 punti) e nel 2020 (12 match, con tanto di licenza svizzera). In NLA ha chiuso con un bottino di 126 punti in 99 gare.
«È un personaggio unico, la sua aura in spogliatoio era impressionante. Trasmetteva sicurezza al gruppo in modo naturale», spiega il difensore del Lugano Samuel Guerra, che nel 2012 ha giocato con Jumbo Joe a Davos. «Ti rendevi subito conto che veniva da un altro pianeta. Poi però ti colpiva per la sua gentilezza, simpatia e umiltà. Parliamoci chiaro. Era una superstar, prima scelta del draft e in carriera ha guadagnato milioni. Eppure non lo faceva pesare e ti sembrava di conoscerlo da una vita».
All’epoca eri un ventenne in rampa di lancio. «E proprio coi giovani era ancora più disponibile. Cercava di abbattere le distanze. Aveva la battuta pronta e non l’ho mai visto arrabbiato… tranne quando sul ghiaccio mollava i guantoni. Rimproveri? Rari. Nel mio caso solo una volta mi disse di svegliarmi perché stavamo giocando davvero male, ma poi era stato il primo a complimentarsi per la reazione. Diceva le cose in maniera onesta. Per lui l’hockey è sempre stato un gioco. Massima dedizione e professionalità, ma sempre un gioco. A Boston, da prima scelta, forse aveva pagato un po’ questa sua “genuinità”».
Ricordi un aneddoto? «A Davos non c’era un McDonald’s. Potete immaginare cosa significhi per chi viene dall'America. È qualcosa che gli mancava perché di tanto in tanto era un “vizio” che poteva concedersi. Allora, quando giocavamo a Ginevra, Del Curto ci permetteva uno sgarro e la cena post-partita la ordinavano lì. Una sera però giocammo male e per punizione niente hamburger. Sul bus, quando Joe lo scoprì, andò direttamente dall’autista per cambiare la tratta e fermarsi a prendere la cena. Entrò di persona insieme al sottoscritto e altri 2-3 giovani. Ovviamente in centro città, post-partita, con tutti i tifosi del Ginevra che in un secondo lo riconobbero. Con la sua stazza non passava proprio inosservato. Pagò per tutti e anche Arno alla fine non disse niente, si mise a ridere…».
E con Del Curto che rapporto aveva? «Si “amavano” a vicenda. Due personaggi. Arno apprezzava i giocatori con intuito e talento. Da questo punto di vista Thornton è il Giocatore. Altro aneddoto. Questo me lo hanno raccontato perché risale al 2004. Alla prima partita in trasferta Joe si presenta al ritrovo e sale direttamente sul bus. Senza borsa né bastoni. In NHL, quando si va in trasferta - spesso in aereo - c’è chi provvede a questi aspetti. Non ci ha nemmeno pensato, per lui era naturale. A quel punto si è creato un po’ di imbarazzo perché sul pullman si sono accorti della situazione. La soluzione? Del Curto scese in fretta e furia e gli procurò il materiale… così è iniziato il loro rapporto (ride, ndr)».