«A un mio compagno rasarono metà testa. E un sopracciglio»
«Da ragazzino mi ritrovai completamente rasato. Ovunque. Tra quelli che mi presero in giro c’era mio padre: quando tornai a casa si fece una risata».
LUGANO - Milletrentacinque match ufficiali in National League, tra regular season e playoff, sono un’enormità. Una vita intera dedicata all’hockey, contando poi pure gli anni trascorsi da direttore sportivo dei Rockets. Una vita fatta di emozioni, trionfi, cadute, gioie e dolori. E aneddoti. Come quelli di cui è piena la valigia di Sébastien Reuille. Una valigia che, ora che disco e ghiaccio li guarda da fuori, il 42enne ha aperto per noi.
«In passato negli spogliatoi c’era una tradizione non sempre “piacevole”, diciamo così - ha raccontato Seba - presa probabilmente dallo sport americano. Qualcosa che ho vissuto sulla mia pelle e che non ho apprezzato molto: una specie di rito di iniziazione per gli ultimi arrivati. Da ragazzino, avrò avuto 14-15 anni, mi ritrovai completamente rasato. Ovunque. Allora non era certo una moda e ricordo che tra quelli che mi presero in giro c’era mio padre: quando tornai a casa si fece una risata. Cresciuto, ritrovai qualcosa di molto simile all’ingresso in Prima squadra. Quando toccò a me, era il ‘98, eravamo quattro o cinque i “nuovi”».
La solita prova di coraggio per i novelli?
«No, tutt’altro. Più un pegno da pagare per poter entrare nel gruppo».
Che vi successe?
«Non ricordo quello che fecero a tutti, qualche chicca però non l’ho dimenticata. Ci vennero a prendere, ci legarono al tavolo e cominciarono con la loro opera. A uno venne rasata metà testa. Non solo i capelli, anche un sopracciglio. A me, che già all’epoca avevo una bella barba, “fecero” invece i baffetti alla Hitler. Il taglio ce lo fecero il venerdì, giusto in tempo per le foto stagionali della squadra, che erano in programma per il giorno dopo».
Quindi ti toccò uno scatto imbarazzante?
«Un po’ imbrogliai, nonostante i vecchi ci ammonirono di non fare nulla ai loro “lavori” per evitare una dura punizione il lunedì seguente. Io, invece, un po’ accorciai quei baffetti. Si vedevano ancora ma non erano più così evidenti. E così mi preparai per le foto ufficiali».
In tutto ciò il club non fece nulla?
«Era una tradizione da spogliatoio, non credo neppure che i dirigenti sapessero. Comunque, è qualcosa che nel tempo si è un po’ persa. È arrivata fino ai primi anni duemila poi - meglio così mi vien da dire - si è smesso».