Waldo Valnegri: «Accompagnare nostro figlio nella sua passione non ha prezzo»
«Come dice Valentino Rossi…».
LUGANO - Pecco Bagnaia e Jorge Martin sono amiconi, nonostante poi in pista se le suonino di santa ragione. E come loro tanti altri campioni del Motomondiale di oggi. Non è però sempre andata così. Non serve infatti essere appassionatissimi per sapere che solo qualche anno addietro le scintille, e non quelle delle moto che toccano l’asfalto, erano all’ordine del giorno. Valentino Rossi, per citarne uno, per citare uno dei più grandi, in carriera ha accumulato forse più nemici che titoli. Faceva parte del gioco: la gara non cominciava con i semafori, cominciava già durante la settimana.
Di quell’atmosfera elettrica, di quelle battaglie a tutti i costi, non c’è traccia (o quasi) quando in sella ci sono i più giovani. Non c’è traccia quando sotto il casco c’è lo sguardo divertito di Giacomo Valnegri, undici anni, “professione” studente e sogno a due ruote.
«Il nostro mondo, quello che io e mia moglie Betta frequentiamo con Giacomo, è ancora bello, pulito, vero - ha spiegato papà Waldo, meccanico al servizio del piccolo sognatore - Qualche ragazzo è già affamato, è vero, ma in generale c’è grande cameratismo. Si divertono ancora tutti insieme. Vi faccio un esempio: l'anno scorso siamo arrivati alla pista di Ortona e c’era Cecilia, una ragazzina che incrociamo spesso, che era senza moto. Non le era arrivata. In condizioni normali un pilota si ferma; a lei abbiamo invece volentieri prestato la seconda moto di Giacomo e ha usato quella per tutto il weekend. Abbiamo dato, come altre volte abbiamo ricevuto. C’è una bella comunità che si sposta per i circuiti. Diciamo che per odiarsi hanno tempo».
Waldo, Elisabetta e Giacomo, una famiglia in viaggio.
«Capita molto raramente che si resti a casa nei weekend. Di solito Betta si mette al volante del California, io del T6, che è una sorta di officina che abbiamo allestito grazie a Chicco d’Oro, e ci muoviamo. Quando andiamo con i due furgoni, dormiamo nel primo. Altrimenti ci sistemiamo in un bed and breakfast vicino al circuito. Non cambieremmo per nulla al mondo questa vita. È faticosa a volte, è vero, ma ci permette di conoscere tante persone fantastiche, di vivere tante esperienze, di passare tanti momenti insieme e soprattutto di accompagnare nostro figlio nella sua passione. E questo non ha prezzo».
Non ha prezzo, più o meno.
«È vero, capita che si spendano 300 euro al mese solo di telepass. Potete ben capire cosa significhi questo viaggio. E non pensate che si vada in giro a fare gli americani. Ai conti guardiamo con attenzione».
E questi tornano?
«Solitamente passo novembre, dicembre e anche gennaio e febbraio a mettere insieme i fondi che ci serviranno per tutta la stagione. Alla fine voglio sapere fin dove posso spingermi, se devo tener buono qualche motore, se ci sono spese che non posso affrontare… Non voglio fare il passo più lungo della gamba. Ancora adesso sto chiamando a destra e sinistra per cercare di raccogliere i fondi per poter correre, sto chiamando gente che ha promesso soldi e che li manderà. Perché devo dire che sono circondato da brave persone. Persone che, come tutti gli sponsor che ci sostengono, non smetterò mai di ringraziare. Per noi, che abbiamo ancora una gestione “famigliare” dell’avventura, tutto ciò è indispensabile».
Di che cifra si sta parlando?
«Non dover contare su un meccanico, visto che me ne occupo io, ci permette di risparmiare molto, almeno 20-25’000 franchi. Nonostante ciò un’annata completa, tenendo conto di tutto, ci costa almeno 40-50’000 franchi».
Una passione cara…
«E pensate che grazie alla sensibilità in moto di mio figlio risparmiamo molto. L’anno scorso, per esempio, ha fatto 26 partenze e 26 arrivi. Significa che non è mai finito sull’asfalto. In questo è molto bravo, sgamato, capisce dove ci sono guai, se ci sono piloti pericolosi, e gira alla larga. I costi sono alti, è vero, ma Giacomo è la persona più felice di questa terra. È entusiasta di natura, sempre con il sorriso stampato sulla faccia. La settimana scorsa siamo andati a fare una garetta sociale di snowboard, erano pochissimi, ma lui era al settimo cielo. È sempre così».
Questo finché non gli toccherà diventare grande. Cambiare la routine con la famiglia, entrare in una squadra, correre per vincere…
«Un futuro da professionista gli piacerebbe, anche se è consapevole che ci sono dei ragazzi più forti di lui. Per quanto riguarda la squadra… Da un po’ abbiamo qualche contatto con il team Leopard: lì tutti adorano Giacomo, è proprio un loro pupillo. Per correre con loro, eventualmente, c’è a ogni modo ancora tempo. Il loro patron mi ha detto, da padre a padre: “Hai una bella struttura, ti godi la famiglia, state facendo tante belle avventure… noi sappiamo che Giacomo c'è, quindi stai tranquillo. Poi tra un anno ne parliamo”. Ha ragione, per il momento la cosa funziona bene così, quindi inutile mettersi fretta. Di tempo e di strada ce ne sono ancora tanti. Facciamo come dice Valentino Rossi. Lo sapete, vero, cosa dice?».
No.
«Due cose. La prima: “Il migliore allenamento per correre in moto è… andare in moto”. La seconda, che forse era più di Graziano che del Vale: “Devi fare le cose serie, ma non troppo serie”. Quindi, un passo alla volta».
Non troppo serie… ma si deve imporsi per sperare di continuare a sognare. O no?
«Una delle più belle gare Giacomo l’ha fatta a Ortona. Vincere? Lì ha lottato per l’ottavo posto. Con un altro ragazzo si sono dati battaglia, si saranno superati centomila volte. Alla fine il papà dell’altro pilota, uno che non conoscevo, è venuto da me e mi ha abbracciato. “Che bello spettacolo hanno dato i nostri figli. Fatto di onestà, di lealtà. Non si son tirati giù, non si sono buttati per terra”, mi ha detto. Aveva ragione, e io ero quasi dispiaciuto che il suo fosse arrivato dietro. È stato emozionante. E non solo per noi. In tribuna c’erano alcuni genitori di amici di Giacomo. Erano lì e piangevano. E il risultato non c’entrava nulla. Mi hanno poi detto che erano presi dall’evento e tesissimi perché sapevano quanta voglia e quanto impegno c’erano dietro quei giri a tutta. Ecco, per ora questo sport è anche questo. Emozioni, un pizzico di tensione e tanta amicizia. Per altro... non c’è fretta».