Chiacchierata con Andreas Becchio, oggi attaccante del Locarno: «Ho grandi ricordi degli anni a Chiasso. Era una squadra molto ambiziosa...»
«Il match di andata con il Collina ci ha lasciato l’amaro in bocca. Era una partita da 0-0 ma alla fine un rigore al 90’ a loro favore ha deciso la contesa».
LOCARNO - Oggi il calcio non è più una sua priorità, ma il calcio nella vita gli ha dato e gli sta dando tantissimo ancora oggi. La classica scuola di vita, quella che ti permette di assorbire innumerevoli insegnamenti. A 360 gradi.
Attaccante del Locarno, con cui in primavera cercherà di dare la caccia alla Prima Lega Classic in un derby a distanza con il Collina d'Oro, Andreas Becchio ci ha raccontato tutti i passi della sua carriera. «Come mi sono appassionato? Sono nato che già mi piaceva il calcio, non so spiegarla diversamente (ride, ndr). Mio papà è stato un calciatore, fra l’altro passando anche da Chiasso… Siamo una famiglia di tifosi dell'Inter, io non sfegatato, e in questo periodo sì i nerazzurri qualche soddisfazione ce la stanno dando».
Dove hai mosso i primi passi?
«Sono cresciuto in provincia di Como, luogo nel quale ho cominciato a immergermi in questo fantastico mondo. Tramite un professore che allenava in Svizzera, conoscente di mio papà, mi sono poi trasferito in Ticino, facendo le trafila delle giovanili fino ad arrivare nel 2010 a giocare in Challenge League a Chiasso…».
Chiasso è stato il punto più alto della tua carriera?
«Sì, insieme agli anni in Serie D in Italia (con Varese, Chieri, Ciserano e Busto, ndr). Ho dei bellissimi ricordi degli anni in rossoblù. Ero molto giovane e il livello era alto: era un Chiasso ambizioso e, senza mancare di rispetto a nessuno, non paragonabile a quello visto negli ultimi anni».
Il ricordo più acceso?
«Sicuramente la stagione 2012/13 con Livio Bordoli in panchina. Un’annata straordinaria, quella famosa in cui andammo a Vaduz la prima di campionato con i giocatori contati. Fu la stagione in cui proprio Bordoli, sempre a Vaduz qualche mese dopo, mi mise punta per la prima volta. Lo ripagai con una doppietta, vincemmo 2-1».
Che ricordo hai di Livio Bordoli?
«Molto buono direi. Due anni fa ho fatto il primo passo del diploma C da allenatore e il mio insegnante era proprio lui. Prima di un bravo allenatore, però, lo considero soprattutto una persona leale e in gamba».
Il presente, invece, è il Locarno. Il secondo posto in classifica, a -4 dal Collina d’Oro, dice tanto su quelle che sono le vostre ambizioni...
«Sì certo, non ci nascondiamo, l’obiettivo è quello di salire in Prima Lega. Non sarà facile perché c’è il Collina che è attrezzato e poi c’è lo Zugo che nel mercato invernale è andato a pescare giocatori fra le categorie superiori. A ogni modo, la società ha costruito la squadra per vincere e noi ci proveremo fino alla fine».
Che gruppo c’è a Locarno?
«Mi trovo molto bene ed è un piacere andare al campo, anche solo per allenarsi. Frigomosca è stato bravo a formare un bel gruppo, trovo non sia mai facile gestire una squadra a questi livelli. Locarno oggi è un'isola felice».
Immagino che la data del 24 aprile sia cerchiata in rosso sulle vostre agende…
«Il match di andata con il Collina ci ha lasciato l’amaro in bocca. Era una partita da 0-0 ma alla fine un rigore al 90’ a loro favore ha deciso la contesa. Non vediamo l’ora del match di ritorno, perché giocheremo in casa e vogliamo riscattarci».
Se la squadra sta andando bene, è anche merito dei tuoi gol…
«Sono partito abbastanza bene, poi c’è stato un periodo di flessione generale. Speriamo che in primavera possa tornare a fare gol per aiutare i miei compagni a vincere le partite».
Com'è cambiato il tuo ruolo nel corso degli anni?
«Come detto prima, proprio Bordoli è stato colui che mi ha “inventato” punta, un po’ per necessità e un po’ perché forse aveva visto qualcosa. Negli ultimi anni ho sempre mantenuto questo ruolo, in passato invece giocavo più esterno. Più invecchi e più capisci dove sei decisivo… Io alla Giroud? Ci provo a mantenermi in forma come lui… (ride, ndr)».
Oltre al calcio, nella tua vita c'è molto altro...
«È tre anni che lavoro per la Generali. Nonostante inizialmente avessi studiato da geometra, mi sono appassionato a questo settore e oggi sono felice. Sono molto soddisfatto, mi si è aperto un mondo...».
Riesci a conciliare bene lavoro e allenamenti?
«Il calcio per me è importante, anche se non è più una priorità assoluta. In passato ero un po’ fossilizzato sulla mentalità secondo cui esisteva solo il pallone. Questo non significa che oggi non metta tutto me stesso, ma la considero più che altro come un'importante valvola di sfogo. In questi casi, devi essere bravo a trovare il giusto equilibrio, altrimenti rischi di fare tutto male…».
...e poi c'è la tua famiglia...
«Tredici mesi fa è nata la nostra bimba, ed è la cosa più bella che potesse capitarci. Oltre a lei ho la fortuna di poter contare su una persona fantastica che, quando mi sono reinventato con il nuovo lavoro, mi è stata vicina. Ha capito che il mio periodo interlocutorio fosse dedito a trovare la mia strada per il bene della nostra famiglia».