Kakà ha fatto innamorare gli appassionati e «resta il simbolo di un Milan che non ci sarebbe più stato. Come una premonizione»
A Milanello arrivò nel 2003 e lo scambiarono per uno studente in Erasmus, ma in un amen fece ricredere anche i più scettici. Troppo perfetto? Per informazioni chiedere ad Heinze ed Evra...
BRASILIA - Immaginate qualcosa di puro, abbagliante, quasi perfetto. Come una stella cadente. C’è chi ha avuto la fortuna di vedere la sua parabola, e chi no. C’è chi ha avuto il piacere di vederlo brillare nelle notti di Champions con la maglia del Diavolo - un paradosso per un uomo di fede come lui - e ha ancora le sue gesta ben impresse nella mente. Stiamo parlando di Ricardo Izecson dos Santos Leite, in arte Kakà, che ieri, nella giornata mondiale della terra - altro paradosso pensando alle sue giocate fuori dal mondo - ha spento 42 candeline. I tifosi del Milan gli hanno voluto bene, gli amanti del calcio pure. La sua numero 22 è diventata leggenda dalle parti di San Siro, “Ricky” è diventato un Indimenticabile dello sport.
Le origini, la fede
Cresciuto in una famiglia benestante, la sua infanzia è diversa da quella di molti altri campioni brasiliani, confrontati con la povertà e la cruda realtà delle favelas. Il suo soprannome, Kakà, nasce da suo fratello minore Digão, che da piccolo non riusciva a pronunciare il nome Ricardo. A 18 anni rischia la paralisi per un incidente in piscina, quando urta il fondo e si frattura la sesta vertebra cervicale. Uomo di fede - post carriera ha confessato che gli sarebbe piaciuto diventare un pastore evangelico - ha sempre pensato che sia stato Dio a salvarlo. Noto per i suoi impegni umanitari, nel 2004 è diventato il più giovane ambasciatore del programma alimentare mondiale dell’ONU.
Calcisticamente cresce nel San Paolo, debuttando in Prima squadra nel 2001. La sua classe è lampante e ne diventa capitano, iniziando anche a collezionare presenze col Brasile. Nel 2002 fa parte della rosa che vince i Mondiali. Nella sua bacheca anche due Confederations Cup conquistate da protagonista (2005 e 2009). In tutto 90 gettoni conditi da 29 reti, giocando con Ronaldinho, Rivaldo, Adriano, Juninho e tanti altri fenomeni.
L’apparenza inganna
Nel 2003 il grande salto con l’arrivo in Europa e il matrimonio col Milan. Il suo talento era già noto, ma non tutti erano convinti al 100%. «Kakà? Io non l’avrei mai preso. È pericoloso esporre al pubblico un giocatore con un nome così, perché se poi fa male…», commentò ironicamente Moggi, storico dirigente della Juve. E a proposito di prime impressioni (errate) restano memorabili le “ammissioni” di Ancelotti e Gattuso.
«Quando lo vidi la prima volta mi misi le mani nei capelli: occhiali, pettinatissimo, faccia da bravo ragazzo, solo non vedevo la cartella coi libri e la merendina - racconterà Carletto - Oddio, abbiamo preso uno studente universitario. Poi arrivò il giorno dell’allenamento. Apriti cielo. Ma apriti per davvero… Col pallone tra i piedi era mostruoso».
Quasi in fotocopia Gattuso. «Quando arrivò a Milanello ci guardammo in faccia chiedendoci chi fosse quello sfi**** con gli occhialini. Due ore dopo iniziammo la partitella. Al primo pallone toccato mi salta come nulla fosse. Arriva davanti a Nesta, si sposta la palla e spara un missile all’incrocio. Che ci crediate o meno in quel momento capii che avremmo rivinto la Champions guidati da quello sfi**** con gli occhialini».
Parole sante (le ultime di Rino…)
Dal 2003 al 2009 col Milan ha vinto praticamente tutto. Gemma preziosa in Serie A (primo gol trovato oltretutto in un derby), è nelle notti di Champions che Kakà si scatenava (86 presenze, 30 reti). Ingoiato un boccone amarissimo a Istanbul in quell’epica finale persa col Liverpool, due anni dopo arriva la grande rivincita. Nel 2007 ad Atene, sempre contro i Reds (2-1 nel segno di Pippo Inzaghi). Ma è lungo il cammino che ha vissuto serate da extraterrestre, seminando il panico coi suoi strappi e segnando 10 reti. Infilzati Celtic e Bayern, in semi con lo United è semplicemente devastante. Il 24 aprile siglò una doppietta a Old Trafford, dove se sussurri il nome Kakà c'è gente che ancora sobbalza sui seggiolini.
Indimenticabile il 2-1, dove tra sombreri e colpi di testa sfuggì a Fletcher, Heinze ed Evra (finiti a terra dopo essersi scontrati tra loro) e lasciò di sasso Van der Sar entrando nella storia della Champions. Un numero entrato nella storia della Champions. A fine anno venne incoronato col Pallone d’Oro davanti a CR7 e Messi.
Da Milano a Madrid
Con tante squadre pronte a ricoprirlo d’oro (in primis il City, col quale aveva trovato un accordo in gennaio prima di fare marcia indietro), nell'estate 2009 lascia il Milan e vola al Real. Un duro colpo per il popolo rossonero, per il quale era più di un giocatore e un campione (da San Siro in fondo ne sono passati a bizzeffe). Era un simbolo. E qui ci facciamo aiutare da Cristiano Ruiu, volto noto di “Telelombardia” che in quegli anni era vicinissimo all’ambiente Milan e legatissimo al giocatore verdeoro. Nacque l’iniziativa “Kakà ti voglio bene”, che ebbe un'eco importante anche all’estero.
«Parlando di Ricky mi tocchi il cuore, i tempi di quel Milan sono quelli in cui ho realizzato il sogno che avevo fin da bambino, lavorando come giornalista e seguendo i rossoneri - spiega Ruiu - Era una squadra stellare con una concorrenza interna enorme, ma il giocatore più rappresentativo era Kakà, personaggio immenso sia come calciatore che nel privato. Umile e speciale, direi celestiale, ma coi piedi sempre per terra. La sua immagine superava addirittura la sua qualità come giocatore. Era come un bambino. Nel senso che incarnava la purezza del calcio. Per me resta il simbolo di un Milan che non c'è più e non ci sarebbe più stato dopo di lui. Come una premonizione. Un ciclo chiuso nel 2009. È stata la sua partenza a far finire parte dell’amore tra i tifosi e Berlusconi, che ripensando a tutto quello che ha fatto insieme a Galliani è una follia».
“Kakà ti voglio bene”
«Con lui ho avuto un rapporto particolare, suggellato dall’iniziativa “Kakà ti voglio bene” - continua Ruiu - Quando partì i tifosi si sentirono privati d’un amore unico, e allora ci fu questa intuizione. A Telelombardia fummo inondati da lettere, e-mail, fotografie, striscioni. Tutti messaggi per Kakà. Oltre 11'000. Li portammo a Madrid con una macchina “brandizzata”, carica con cartoni pieni di lettere, sciarpe e oggetti che i fan volevano mandargli. Era il 29 giugno. Ricky arrivava dalla Confederations Cup in Sudafrica e in 24 ore scarse doveva fare le visite mediche, la firma, la presentazione in pompa magna al Bernabéu e la conferenza stampa. Per poi tornare in Brasile con la Seleção. Insomma un delirio. Atterra, sa dell’iniziativa e mi manda subito un messaggio per incontrarci. In sostanza diede la precedenza a noi e ai tifosi del Milan piuttosto che al presidente dei Blancos Florentino Perez, dicendo anche una cosa che mi è rimasta impressa. Sembrerà banale, ma nel giorno in cui si legava al Real - e sottolinea il Real Madrid... - mi disse che prima o poi sarebbe tornato al Milan. Rischiando anche "grane" con i media spagnoli e i nuovi tifosi. Poi nel 2013 andò realmente così e tornò al Milan, prima degli ultimi balli tra San Paolo e Orlando. Questo era Kakà».
L’occhio (lungo) di Mazzone
«Attenzione, prima di venire in Italia il primo a parlarmi di Kakà fu Carlo Mazzone - spiega Ruiu nel suo ricordo - Ai tempi del Brescia il ds Gianluca Nani gli aveva portato le classiche videocassette che si usavano per visionare i giocatori. Mazzone le vide e disse: “Questo non è un giocatore per il Brescia, è un fenomeno”. All’epoca non aveva ancora 20 anni. Poi sappiamo tutti com'è andata».
Un regalo speciale
«In quel periodo collaboravo anche con un giornale giapponese. Una famiglia nipponica, col padre tifosissimo del Milan, aveva un figlio in coma e - da quello che mi hanno raccontato - si era risvegliato dopo aver sentito in sottofondo le imprese del Milan e i gol di Kakà. Allora, tramite un collega di quella testata e sapendo quando Ricky fosse credente, mi fecero avere un quadro di Gesù da consegnargli. Io lo feci e gli raccontai la vicenda. Rimase estremamente colpito. Mi disse di ringraziarli e che avrebbe portato sempre con sé quel quadro, attaccandolo in tutte le sue future abitazioni. Episodi forse insignificanti. Ma per me rendono l’idea della caratura del personaggio». Quasi "troppo" perfetto... per prendere in prestito le parole (clamorose) dell’ex moglie. «Mi ha dato una famiglia meravigliosa, ma io non ero felice perché mancava qualcosa. Il problema è che era troppo perfetto per me». Possibile? Forse sì, per informazioni sulla sua perfezione chiedere ad Heinze ed Evra...