L'arbitro della Federazione ticinese di calcio Matteo Gesualdo si racconta: «Ai giovani dico di non abbattersi alla prima difficoltà».
«Quando vieni aggredito verbalmente, fisicamente, e vieni anche minacciato, senti che non solo te sei in pericolo, ma temi che ciò che accade sul campo possa avere ripercussioni nella tua vita privata e questa è la peggior sensazione che si possa provare».
MENDRISIO - Una persona sola, chiamata a prendere decisioni - talvolta anche molto difficili - in una frazione di secondo. Non gli viene perdonato (quasi) nulla dall'opinione pubblica e dal pubblico e il suo operato è settimanalmente nel mirino delle critiche. Di chi stiamo parlando? Dell'arbitro, una figura imprescindibile nello sport, senza la quale non ci sarebbero partite e campionati. Ma, come vedremo, mettersi in gioco ha anche i suoi risvolti positivi.
Fra chi ogni weekend mette in borsa il suo fischietto e i cartellini per recarsi sui vari campi da gioco cantonali e nazionali c'è Matteo Gesualdo, arbitro per la Federazione ticinese di calcio da quasi 20 anni (categoria Seconda Interregionale). «Ho cominciato quando avevo 14 anni, in parallelo all’attività di giocatore attivo, per avere una visione più ampia del gioco del calcio, in quanto fino a quel momento lo vedevo sempre e solo dalla prospettiva del giocatore - ci ha raccontato il 32enne momò - Il cambio di prospettiva e la capacità di “capire" il gioco da ex calciatore mi ha aiutato tanto, soprattutto all’inizio, quando entravo in campo ed ero solamente “l’arbitro”, il cui ruolo è quello di far rispettare le regole e di permettere un corretto svolgimento dell’incontro. La curiosità e la voglia di mettermi in gioco, facendo qualcosa di diverso, sono stati sicuramente degli importanti stimoli per iniziare questa carriera».
Si dice spesso che questo non è un lavoro per tutti: è davvero così?
«Confermo appieno questa affermazione, l’arbitro non è un lavoro per tutti. Sono però convinto che tutti dovrebbero provarlo una volta nella vita per capire realmente cosa si prova a stare per 90’ in mezzo al campo, in solitudine. Non tutti si rendono conto di quanto sia tutt'altro che evidente. È semplice parlare di critiche o altro, ma quando sei in campo devi imparare a gestire 22 giocatori con caratteri diversi, con sensibilità diverse, con reazioni diverse. Impari a gestire l’imprevedibile e l’imprevisto: quando riesci a farti accettare spiegando serenamente ai giocatori ciò che hai visto ci sarà sempre qualcuno che sul momento reagirà d'impulso, ma alla fine la tua decisione verrà capita, in quanto anche loro sono esseri umani».
Fare l’arbitro ti aiuta (o ti ha aiutato) a gestire alcune situazioni nella vita di tutti i giorni?
«Sicuramente sviluppi molto il carattere, impari a farti rispettare, a prendere decisioni molto rapidamente, a essere in contatto con persone più grandi di te, che potrebbero vederti unicamente “come un ragazzino”. Sicuramente essere arbitro ti permette di gestire anche delle situazioni più delicate con quella freddezza e quel distacco che ti consentono di rimanere quanto più possibilmente calmo e lucido».
Senza entrare nel dettaglio, ti è mai capitato di dover affrontare delle situazioni difficili sul campo? Hai mai avuto paura per la tua incolumità?
«Mi piacerebbe poter dire di no e di non aver mai avuto a che fare con situazioni al limite, ma purtroppo è capitato. "Solo" in un paio di occasioni per fortuna, che però mi hanno colpito. Quando vieni aggredito verbalmente, fisicamente, e vieni anche minacciato, senti che non solo te sei in pericolo, ma temi che ciò che accade sul campo possa avere ripercussioni sulla tua vita privata e questa è la peggior sensazione che si possa provare. Senza dimenticare la rabbia e la paura che ti assalgono in quei frangenti. Mi preme comunque sottolineare che questo non avviene solo in Ticino e in Svizzera».
C’è un modello al quale ti ispiri?
«Personalmente non ho un arbitro in particolare a cui mi ispiro, mi piace guardare le partite osservando il direttore di gara come si muove in campo, come interagisce coi giocatori e come interviene nei momenti caldi della partita. Ci sono stati e ci sono arbitri di grandissimo spessore, che tutt’oggi vengono presi da esempio sia a livello nazionale, penso a Busacca e a Schärer, ma anche a livello internazionale, come l’olandese Kuipers, gli italiani Collina e Orsato, il polacco Marciniak, lo spagnolo Jesús Gil Manzano e il tedesco Brych».
Quale consiglio ti senti di dare a un giovane che vorrebbe seguire il tuo percorso?
«Dico loro di ascoltare i consigli che arrivano dagli ispettori e dai "fischietti" più esperti ma soprattutto di restare coi piedi per terra. Consiglio anche di non abbattersi alle prime difficoltà, ma di tenere duro e di perseverare, che col tempo le soddisfazioni arrivano. Fare l'arbitro è una scuola di vita».