I numeri del 2020 hanno superato il precedente primato fatto registrare nel 2019: i casi sono più di 300.
Le vittime provengono da una sessantina di Paesi e la maggior parte di loro sono donne. «Per coloro che avevano poco, la pandemia ha preso tutto: diritti, dignità, riparo».
BERNA - In Svizzera non si sono mai verificati così tanti casi di tratta di esseri umani come nel 2020. Già nel 2019, con 255 casi noti, si era superato un triste record ma nell'anno della pandemia il dato è schizzato al di sopra delle 300 unità. È l'allarme lanciato oggi dal Servizio specializzato in materia di tratta e migrazione delle donne (FIZ), che oggi ha pubblicato il suo rapporto annuale.
Le vittime note - in totale 303 - provengono da una sessantina di Paesi diversi e sono in grandissima parte donne, ma ci sono anche trans e uomini, indica oggi il FIZ in un comunicato.
La maggior parte delle vittime proviene da Nigeria, Romania, Ungheria, Bulgaria, Camerun, Congo e Serbia. Dai dati registrati dal FIZ, emerge che esse venivano sfruttate in 16 cantoni, in particolare a Zurigo, Berna e Argovia. Questi tre, sottolinea l'organizzazione, si stanno focalizzando attivamente su questo ambito e riescono a identificare un «numero significativamente maggiore di vittime». Il Ticino non figura sulla lista, mentre nei Grigioni si contano due casi nel 2020.
Il Servizio gestisce principalmente due servizi, che lo scorso anno hanno sostenuto in totale oltre 1000 persone: il programma specializzato di protezione delle vittime di tratta e la consulenza per donne migranti.
Per quanto riguarda le donne migranti, a causa del coronavirus le clienti del centro di consulenza sono passate da 377 a 705. Circa il 60% di esse erano lavoratrici del sesso, perlopiù provenienti dall'America latina o dall'Europa dell'est. Non avendo entrate, la maggior parte di loro non era più in grado di pagare i contributi della cassa malattia, né l'affitto e in alcuni casi nemmeno il cibo.
A causa della crisi del coronavirus e delle relative restrizioni, molte persone si sono trovate isolate socialmente: niente corsi di lingua e opportunità lavorative, nonché contatti sociali ridotti al minimo e nessuna possibilità di frequentare strutture diurne. «Per coloro che avevano poco, la pandemia ha preso tutto: diritti, dignità, riparo», denuncia Lelia Hunziker, direttrice generale del FIZ, citata nel comunicato. Nel 2020 il FIZ ha aumentato il numero di letti nei suoi rifugi e ha organizzato alloggi supplementari per cercare di evitare contagi.