L'odissea di una 44enne che si è recata in Turchia per un ritocchino estetico. Non sapeva che avrebbe vissuto un incubo.
EMMEN (LU) - Giovanna S.* di Emmen (LU) da diverso tempo non si trovava più a suo agio con il suo corpo. Da qui l'idea: recarsi a Istanbul per un trattamento estetico, dallo stesso chirurgo che - qualche tempo fa - aveva operato la figlia.
«Lei si era trovata bene, e quindi siamo partiti», ricorda la donna intervistata da 20 Minuten. «Dopo un colloquio preliminare, accompagnati dall'interprete e una serie di firme su altrettanti documenti, siamo andati in sala operatoria».
Un ritocchino a decolleté e pancia - L'intervento, che oltre al seno avrebbe dovuto modellare la vita e l'addome della 44enne, le è costato 5'250 franchi: «Ho ricevuto anche uno sconto, visto che mia figlia era già stata da lui. Secondo la donna, lo stesso tipo di intervento in Svizzera sarebbe potuto costare «anche 18'000 franchi».
A sei settimane dall'intervento, dal quale non si è ancora ripresa - né fisicamente, né psicologicamente - non è più sicura che ne sia valsa davvero la pena: «Devo indossare ogni giorno indumenti compressivi ed ho ancora grandi dolori», racconta.
Che qualcosa non stava andando per il verso giusto, la donna lo ha capito già dopo l'intervento: «Ho passato la notte a vomitare e, a un certo punto, il mio drenaggio si è riempito di sangue. Sia io sia mio marito eravamo molto preoccupati». Nel bel mezzo del supplizio, il personale non rispondeva: «Continuavamo a schiacciare il pulsante di chiamata ma non arrivava nessuno».
Complicazioni, e un nuovo intervento - La mattina dopo ecco arrivare un pannello di medici: «Discutevano animatamente, non capivo che si dicevano, poi mi hanno informata: temevano che avessi del sangue nello stomaco».
Da lì, un nuovo passaggio in sala operatoria: «Ho perso così tanto sangue che hanno dovuto farmi tre trasfusioni», racconta. Dopo il secondo intervento, la degenza è ancora più luciferina: «Il personale era incompetente, non mi cambiavano mai il letto e passavo le giornate nel mio sangue rappreso...».
«Poteva andarle anche molto peggio» - Una volta dimessa, Giovanna ha subito contattato il suo medico di famiglia che le ha consigliato di rientrare in Svizzera al più presto e farsi controllare. Malgrado i dolori e la debolezza, la donna è rientrata e si è recata subito in ospedale.
«Quando mi hanno visto, le cicatrici erano ancora doloranti, avevo lividi e tagli su tutto il corpo. Il dottore che mi ha visitata mi ha detto: “Sembra che lei sia stata operata da un macellaio” e che ero stata fortunata: “Poteva andarle anche molto peggio di così”».
Ferite ancora aperte - A sei settimane dall'operazione la situazione è ancora precaria, oltre ai forti antidolorifici e gli indumenti contenitivi i segni sul corpo restano: «Le ferite non si sono ancora rimarginate, il tessuto si è indurito e il seno decisamente non è carino».
Per il medico che l'ha visitata in Svizzera, non si può fare altro che aspettare: «Al momento le protesi sono posizionate troppo in alto, bisogna eventualmente aspettare e vedere se scendono da sole oppure no», spiega la donna, «se non succederà dovrò sottopormi a un altro intervento».
L'idea di tornare sotto al bisturi una terza volta è però devastante: «Ho ancora gli incubi, quando penso mi riempe d'ansia, farsi operare senza sapere esattamente cosa succederà e cosa stavano facendo i medici è stato incredibilmente traumatico».
La versione del medico turco - Nel frattempo lo specialista turco, contattato dalla 44enne, ha inizialmente ribadito che fosse tutto ok e di «massaggiarsi i seni di modo che gli impianti al silicone potessero adagiarsi».
Una volta sentito da 20 Minuten, ha poi ricontattato la donna offrendosi di rioperarla gratuitamente: «Non esiste», ha tagliato corto lei.
Sempre secondo il chirurgo estetico «tutto è andato normalmente durante l'intervento. Inoltre non è insolito che si verifichi un sanguinamento dopo un'operazione del genere ma, nel caso specifico, la complicanza è stata trattata in modo ottimale».
La reazione della lucernese, è quindi eccessiva «e frutto di cattiva fede».
*nome noto alla redazione