L'interpellanza del consigliere nazionale ticinese Giorgio Fonio.
BERNA - «Il counselling ha un ruolo nei processi di cambiamento. Aiuta le persone a ritrovare il proprio benessere psichico e sociale». Queste le premesse che hanno spinto il consigliere nazionale Giorgio Fonio a inoltrare un'interpellanza al Consiglio Federale per chiedere il riconoscimento del titolo professione di counsellor.
I consulenti offrono supporto e ascolto a chi si trova in situazioni di difficoltà. «Benché esista un percorso formativo ufficiale garantito dall’Associazione svizzera di Consulenza (SGfB, Schweizerische Gesellschaft für Beratung), l’attività di counsellor non dispone di alcun riconoscimento ufficiale. C’è dunque la necessità che la professione sia regolamentata dalla Divisione preposta della Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione (SEFRI)».
Il counselling fornisce un aiuto sensibile, permettendo alla persona, grazie a un processo di esplorazione delle difficoltà, di acquisire prospettive di cambiamento nell’ambito lavorativo, sociale, familiare, aziendale e personale. Svolge anche una funzione preventiva riducendo il rischio di sviluppare disturbi psichici più gravi. «Il counselling si configura come una risorsa per l’individuo, poiché consente di affrontare il disagio in modo tempestivo e adeguato. Dal 2012 il diploma federale di "Consulente in ambito psicosociale/counselling" ha rappresentato un passo significativo per la professione. Il titolo, che si ottiene superando l'esame professionale superiore (EPS), conferisce un riconoscimento ufficiale e protetto dalla Confederazione contribuendo ad elevare lo standard qualitativo del servizio offerto».
Nonostante ciò, «la professione di counselling in Svizzera si trova in una situazione paradossale. Infatti, esso non è ancora regolamentato secondo le direttive della SEFRI, secondo cui l’esercizio di un’attività in Svizzera può essere svolta soltanto in possesso di determinate qualifiche professionali (diplomi, titoli, certificati) conformi a quanto stabilito in un’apposita ordinanza o legge. Allo stato attuale non esiste uno statuto giuridico che ne tuteli l’esercizio. Oltre a essere un’anomalia, l’assenza di regolamentazione non permette di proteggere né i professionisti né i fruitori del servizio. La presenza di "professionisti" non qualificati per legge può compromettere la qualità dell'assistenza ricevuta».