La crisi silenziosa dei ristoranti cinesi: nel Cantone ne restano quattro, e arrancano. Altrettanti hanno chiuso negli ultimi due anni. Il “caso Bellariva”
LUGANO - Il signor Chan si aggira tra le sterpaglie, là dove i clienti affollavano i tavolini. Sui cassetti della spazzatura c'è ancora il suo nome. «È tutto rimasto uguale» sospira. Sono passati «un anno e tre mesi» da quando il ristorante Bellariva ha chiuso i battenti: posizione centralissima, di fianco all'hotel Bellevue sul lungolago, i padroni di casa «hanno deciso di vendere» e ora il locale giace in stato di abbandono. Dopo un braccio di ferro legale con la proprietà Chang, a pochi mesi dalla pensione, ha mollato il colpo. «Il gioco non vale più la candela – spiega – la clientela ticinese oggi cerca la cucina asiatica esclusivamente oltre confine, per i prezzi bassi».
La crisi silenziosa - I numeri parlano chiaro: di 7 ristoranti cinesi presenti in Ticino nel 2015, ben quattro hanno chiuso i battenti negli scorsi mesi (uno ha riaperto a Tenero). Altri due, sempre a Lugano, starebbero per fare lo stesso a breve per «raggiunti limiti di età». Il ristorante “Cina” di piazza Riforma chiuderà tra un anno: «Il contratto scade e non vale la pena andare avanti» spiega il titolare, prossimo alla pensione. Anche qui, l'immmobile è stato venduto.
«Segno di disaffezione» - Il fatto è che le attività «non sono più abbastanza redditizie per mantenere posizioni centrali e sono le prime vittime della disaffezione della clientela per l'offerta locale» osserva Massimo Suter di GastroTicino. Colpa del franco forte, del proliferare di sushi-wok nei comuni italiani di frontiera (una decina solo a Lavena Ponte Tresa, stando a Tripadvisor) ma anche in Ticino. «La mia impressione è che si sia diversificata l'offerta asiatica ed etnica e questo abbia penalizzato le attività più tradizionali» commenta Francesca Wölfler del Centro culturale cinese il Ponte.
«Una perdita per il settore» - I pregiudizi su igiene e lavoro irregolare fanno il resto: anche se nel 2015 controlli a tappeto della Polizia cantonale in sette locali non hanno rilevato irregolarità. Quella dei ristoratori (ti)cinesi, in realtà, «è una nicchia che fa gruppo a sé ma non ha mai creato problemi» avverte Suter. La loro crisi silenziosa «è una perdita per tutto il settore e un segnale di una crisi più grande che, purtroppo, è ormai generale» conclude Suter.