Lo chef luganese Guido Sassi preoccupato per la chiusura "forzata". Il ritratto di un settore in affanno
LUGANO - Chiusa la cassa, spenta la luce, serrande abbassate. Inizia la lunga attesa. Il mondo della ristorazione in Ticino sta alla finestra, o meglio alla vetrina, e il suo volto è quello - preoccupato - di Guido Sassi.
«Chissà quando finirà». Lo chef luganese ha chiuso ieri sera il suo storico ristorante Olimpia in piazza Riforma. Un punto d'osservazione eccellente sulla crisi attuale. Ed è preoccupato. «Non sappiamo quante imprese riapriranno, quando tutto questo sarà finito».
Il settore alberghiero e della ristorazione conta oltre 2mila aziende in Ticino, e tutte hanno chiuso i battenti fino al 29 marzo. L'associazione di categoria GastroTicino ha invocato degli aiuti dallo Stato, mentre le imprese fanno la loro parte.
«Trovo giustissimo chiudere, non conosco un altro rimedio visto che un vaccino non c'è» commenta Sassi, che sul Ceresio oltre all'Olimpia ha aperto anche La Fattoria, nel 2016, e in totale ha alle sue dipendenze 13 persone. Ed è ai collaboratori che va il primo pensiero.
«La situazione è preoccupante, noi dobbiamo pagare gli stipendi, che da contratto collettivo sono tra i più alti in Europa» spiega l'imprenditore. Conti alla mano, fanno circa 60mila franchi al mese. Più l'affitto: altri 16mila. «Non è uno scherzo. Se questa emergenza non si risolve a breve, le aziende non famigliari come la nostra rischiano davvero grosso».
«Cosa vorrei chiedere alle autorità? Responsabilità, e un intervento concreto. Il turismo ha bisogno di liquidità, e ci vorranno almeno sei mesi per riprenderci da questa batosta, se va bene. Diversamente ho paura che diverse aziende e anche la mia rischieranno di finire tra le vittime di questa epidemia».