Il direttore sanitario della Croce Verde luganese ci ha indicato i protocolli per garantire la sicurezza degli operatori
E rispondendo alle preoccupazioni di un soccorritore ha precisato: «Le mascherine FFP2 e il camice idrorepellente vengono usati solo quando sono interessate le vie aeree del paziente».
BELLINZONA - La seconda ondata della pandemia di coronavirus ha colpito in maniera veloce e violenta il nostro cantone. E i soccorritori a bordo delle ambulanze sono nuovamente chiamati a un lavoro estenuante per la presa a carico dei malati di Covid-19.
«Perché solo con la chirurgica?» - Una presa a carico che però, secondo il protocollo e le regole ticinesi, i paramedici devono affrontare con la protezione di una semplice mascherina chirurgica. Almeno fin quando non bisogna agire sulle vie aeree del paziente. Un dettaglio, questo, che preoccupa L.* che da anni affronta questo importante compito in un servizio di ambulanze ticinese. «Vorrei capire perché - si sfoga il soccorritore - devo svolgere il mio lavoro sulle ambulanze in presenza di pazienti Covid-19 con una semplice mascherina chirurgica e un camice non idrorepellente».
Le differenze con il resto del mondo - Misure di protezione, queste, che il soccorritore ritiene insufficienti soprattutto se confrontate con quelle adottate nella Svizzera interna e nei Paesi vicini. «Quando accendo la televisione e vedo le immagini dei nostri colleghi nel mondo, i quali durante gli interventi a casa di un positivo sono bardati dalla testa ai piedi con delle tute protettive idrorepellenti, mi domando perché qui in Ticino si usino queste protezioni minime».
Situazioni ad alto rischio - Il paramedico si è spesso trovato ad affrontare situazioni a rischio in cui una persona positiva si è rifiutata di tenere la mascherina oppure se l'è sfilata durante il viaggio per l’ospedale. «E nell’abitacolo dell’ambulanza siamo a una distanza molto ravvicinata con il paziente e la mascherina chirurgica non basta per proteggerci. Alcuni colleghi si sono infatti ammalati».
Misure standard dell'Ufsp - Le risposte alle sue preoccupazioni arrivano però direttamente dalle parole del direttore sanitario della Croce Verde di Lugano Alessandro Motti, che ci spiega i protocolli di sicurezza in vigore in Ticino. «Sulle ambulanze le direttive sono identiche a quelle di ogni istituzione extra o intraospedaliera e sono state emanate dall'Ufsp seguendo le raccomandazioni di Swissnoso, ovvero il gruppo di specialisti svizzeri in ambito infettivologico».
«Rispettiamo le direttive nazionali» - Di base i soccorritori - precisa Motti - indossano la mascherina chirurgica, gli occhiali e una tuta non idrorepellente. «E questa protezione è sufficiente nella maggior parte degli interventi. Se invece vengono trattate le vie aeree i soccorritori hanno a disposizione le FFP2 e il camice idrorepellente. Nessuna ricetta casalinga o volontà di mandare il personale allo sbaraglio quindi, ma solo il rispetto delle direttive nazionali».
Condizioni conosciute - In questa seconda ondata, poi, i pazienti chiamano l'ambulanza dopo aver già fatto il tampone e sapendo quindi se sono positivi o meno. «I paramedici - aggiunge Motti - hanno inoltre una maggior tranquillità nell'intervento perché lo stato di salute dei pazienti non è così grave come durante la prima ondata, periodo dal quale abbiamo imparato molto».
Sensibilità cambiata - A cambiare è pure la sensibilità delle persone. «Se nella prima ondata dovevamo dotare noi i pazienti e i parenti di mascherina - rammenta il direttore sanitario della Croce Verde di Lugano - oggi le persone sono già attrezzate e protette. Esempi come quelli citati di pazienti che rifiutano o si tolgono la mascherina sono delle eccezioni. In queste situazioni il soccorritore può benissimo alzare il suo livello di protezione indossando i dispositivi che ha a disposizione in ambulanza».
Sierologici sotto la media ticinese - E anche per quanto riguarda i possibili contagi avvenuti durante il lavoro, Motti frena: «A settembre abbiamo fatto un sierologico a tutti i duecento dipendenti dei servizi ambulanza e i positivi sono risultati il 5.7%. Una percentuale meno alta rispetto a quella della popolazione ticinese. La maggior parte dei sanitari, secondo quanto abbiamo potuto appurare, non si sarebbe poi contagiata sul posto di lavoro».
* Nome noto alla redazione