Giuseppe Piricone lavora da 50 anni come restauratore a Lugano. Ma rischia di chiudere bottega
Artigiani in Ticino sempre più in difficoltà. L'associazione di categoria punta il dito contro la speculazione immobiliare: «Allontanati dalle città per i prezzi alti»
LUGANO - La bottega di Giuseppe Piricone, in via Trevano, è un luogo magico. Armadi, mobili d'ogni tipo, ovunque attrezzi che raccontano una storia. Un martello è appeso al banco di lavoro «almeno da quando ero bambina» ricorda la figlia Antonella. Un pezzo di vecchia Lugano che ha ricevuto disdetta dal padrone di casa.
La comunicazione è arrivata a dicembre, dopo 31 anni di locazione e una storia di artigianato iniziata nel 1971, quando Piricone ha portato il mestiere con sé dalla Sicilia al Ceresio. Oggi che ha 80 anni ed è in pensione, "mastro" Giuseppe non manca un giorno dalla sua bottega di restauratore: dalle 8 di mattina al tramonto, puntualissimo. «E puntualmente ho sempre pagato l'affitto» assicura. Per lui come per i clienti - fedelissimi - la notizia della disdetta è stata «un colpo durissimo».
Misteri del mercato immobiliare luganese, in un momento in cui (in teoria) lo sfitto abbonda e i canoni calano. Ma per i piccoli artigiani tradizionali «sopravvivere è sempre più difficile» conferma Roberto Barboni, presidente dell'associazione di categoria Ar-Ti. «La speculazione spinge queste attività lontano dai centri urbani, impoverendoli dal punto di vista culturale e sociale». In Ticino e nel Luganese in particolare «il fenomeno è molto marcato e un intero patrimonio di saperi sta ormai scomparendo» anche perché i guadagni (scarsi) non permettono di stare al passo con l'aumento degli affitti.
Le autorità osservano - quasi - indifferenti. Abrogata la legge di promozione dell'artigianato nel 2012, quattro anni dopo si è esaurito l'ultimo piano di aiuti cantonali. Il Covid ha dato l'ennesima bordata, bloccando manifestazioni e mercatini. L'Ente regionale di sviluppo del Luganese e Ar-Ti stanno lavorando per riaprire la Fiera cantonale dell'artigianato (chiusa nel 2011) ma «occorre una spinta politica più forte per salvare il salvabile» incalza Barboni. «Quando muore una bottega, muore un tesoro di conoscenze, spesso irrecuperabili».
Nel caso di Piricone, i figli non hanno seguito le orme paterne. «Il restauro è una passione, qualcosa che devi avere nel sangue. Mi sarebbe piaciuto passare l'attività a qualche giovane». Con la crisi economica, chissà, sarebbe anche un'idea. Ma a "mastro" Giuseppe servirebbe del tempo. Quello che nella bottega in via Trevano sembra essersi fermato, ma in realtà fuori corre, inesorabile.