Questa malattia non è tra le più conosciute eppure è molto frequente. Ne abbiamo parlato con il primario di medicina al Civico Marco Pons.
LUGANO - Un dolore lancinante al costato. Che ti toglie il fiato. La corsa all’ospedale. La TAC d’urgenza. L’attesa spasmodica. E infine il responso: «Embolie polmonari multiple». Per il paziente, un 40enne del Bellinzonese, è una diagnosi inaspettata. E che lo lascia basito. In effetti questa malattia non è tra le più conosciute e “pubblicizzate” tra quelle polmonari. Eppure - come ci spiega Marco Pons, primario di Medicina all’Ospedale Civico di Lugano - è «estremamente frequente» e rappresenta tuttora «una delle prime cause di morte anche in ospedale». «In Ticino - precisa lo pneumologo - possiamo stimare che ci siano 300-400 casi all’anno».
Sintomi variegati - L’embolia polmonare è provocata da grumi di sangue che partono dagli arti (il 90% dalle gambe, il 10% dalle braccia), passano dalla parte destra del cuore e finiscono la loro corsa incagliandosi nei vasi polmonari e provocandone la chiusura. Questo può generare i sintomi più disparati. «La malattia ha una presentazione clinica molto variegata», sottolinea l’esperto. «Va dal nessun sintomo fino alla morte improvvisa. E nel mezzo troviamo un paziente con dispnea (fatica a respirare, ndr) e dolori toracici».
Una malattia curabile, ma che può uccidere - Una malattia complessa. Camaleontica. A volte difficile da diagnosticare. Ma fortunatamente curabile nella maggioranza dei casi. «Se non trattata - precisa Pons - l’embolia polmonare ha una mortalità che va dall’1 al 4 per cento dopo trenta giorni e sale al 4-7 per cento a novanta». Ma una parte di queste morti, soprattutto tra gli anziani, potrebbe sfuggire ai radar, anche perché i sintomi non sempre sono evidenti. E sono proprio le persone più attempate a essere tra le più colpite a causa della sedentarietà o poiché sofferenti di altre patologie. «Sopra gli ottant’anni registriamo circa sei casi su mille, mentre sotto i cinquanta sono meno di uno su mille», sottolinea Pons.
Passi da gigante nelle cure - La medicina ha comunque fatto passi da gigante. «Da una decina d’anni - ricorda il primario - ci sono questi nuovi anticoagulanti orali che fluidificano il sangue. Sono molto comodi, visto che non necessitano di controlli regolari, e hanno un’efficacia del 97%».
Da tre mesi all’eternità - La durata della terapia può però variare a seconda dei motivi che hanno provocato la trombosi. Se il fattore scatenante è noto - precisa lo pneumologo, citando come esempio un trauma alla gamba o una lunga immobilizzazione - l’anticoagulante viene assunto per soli tre mesi. Mentre se la causa non è chiara allora si sale almeno a sei mesi, ma vi è la possibilità concreta che la terapia accompagni il paziente, soprattutto se già anziano, per il resto della sua vita. «Quel che è certo - sottolinea Pons - è che negli ultimi anni si tende ad andare avanti più a lungo con l’anticoagulazione perché fa più paura un ritorno dell’embolia, rispetto alla possibilità di sanguinare molto a causa della fluidità del sangue. Naturalmente - ci confida ridendo - alle persone anti-coagulate sconsigliamo di svolgere attività a rischio come la boxe».