Il direttore del Dipartimento Sanità e Socialità (Il Centro) si rimette in gioco. Punta alla conferma del suo seggio in Governo.
BELLINZONA - Anche Raffaele De Rosa (Il Centro) si ricandida per un posto in Consiglio di Stato. Il direttore del Dipartimento Sanità e Socialità si è sottoposto al "fuoco incrociato" di Tio/20Minuti.
Casse malati, i premi aumentano. Puntualmente ha espresso indignazione. Ma la sensazione della gente è che si faccia poco per intervenire e abbassarli.
«Capisco la frustrazione. Il Cantone però sfrutta tutti i suoi (limitati) margini di manovra e l’evoluzione della spesa su cui ha una certa influenza è sotto controllo. A Berna, dove si gioca la partita, abbiamo proposto diverse vie per contenere i costi e correggere il sistema, anche tramite tre iniziative cantonali».
Quattro anni fa, disse che avrebbe cercato di essere sé stesso. Pensa di esserci riuscito oppure ci sono state volte in cui non ha potuto farlo?
«Ho sempre cercato di essere me stesso e credo di esserci riuscito. Diverse persone mi riferiscono di apprezzarmi proprio perché non sono mai cambiato, nonostante questa carica così importante e impegnativa».
Fare il direttore del DSS durante una pandemia. Cosa le ha lasciato? Pensa di avere commesso errori?
«È stata un’esperienza che ha segnato tutti. Ha fatto capire ancora di più l’importanza di certi valori, come la solidarietà e il saper lavorare insieme. Non mi rimprovero nulla. Faremo senz’altro tesoro di tutto quanto appreso “sul campo” in questi tre anni».
Il disagio psichico dilaga. Non si può più fare finta di niente. Soluzioni?
«La pandemia ha amplificato un disagio già presente. Sono state attuate molteplici e valide iniziative in ambito di prevenzione e di protezione. A queste si aggiunge quanto previsto dalla pianificazione sociopsichiatrica, col potenziamento del sostegno verso i giovani».
I giovani spesso dicono di annoiarsi. Il Ticino è un Paese per vecchi?
«Direi di no, se penso all’offerta culturale e artistica del territorio. Anche gli spazi di incontro sono sempre di più. Cantone e Comuni spingono a favore di centri aggregativi e progetti che favoriscono la socializzazione, sostenendo iniziative dei partner come IdeeSport».
In Ticino troppi ospedali che fanno tutto. Una dispersione di forze? Il futuro sta nella centralizzazione dei servizi?
«I casi complessi sono già centralizzati. Per il resto, è doveroso mantenere una medicina di prossimità, perché è importante per i cittadini-pazienti e perché le decisioni del popolo vanno rispettate. Se c’è la possibilità, la collaborazione fra servizi e strutture è benvenuta».
Pochi vogliono fare gli infermieri. Soprattutto dopo il Covid. Sarà sempre più necessario ricorrere a personale straniero?
«Non mi risulta che il Covid abbia inibito l’interesse, anzi. La dipendenza dall’estero è nota. Ma abbiamo messo in campo diverse misure, grazie al Piano di azione "Pro San", per incentivare le nuove generazioni. Ad esempio aumentando le indennità previste durante gli stage».
La vaccinazione Covid ha visto la spaccatura tra scettici e vaccinati. Con questa rottura abbiamo dato il peggio come società?
«Le posizioni estreme creano tensioni che difficilmente si risolvono grazie al confronto. Da parte nostra, ci siamo adoperati per fornire tutte le informazioni necessarie affinché il cittadino potesse compiere una scelta individuale, responsabile e consapevole».
La solitudine è un problema grosso in Ticino. Al di là dei buoni propositi, come si supera?
«La pandemia ci ha messi tutti in una condizione di distanziamento forzato, facendoci riflettere sull’importanza dei rapporti sociali. Da parte nostra sosteniamo i punti di incontro e le attività di socializzazione sia degli anziani, sia dei giovani».
Quanto le pesa il caso Unitas?
«Non pesa tanto a me, quanto alle vittime e a tutte le persone che vogliono giustamente bene a Unitas. È per questo che siamo intervenuti con decisione. Gli attacchi sul piano politico e in generale la strumentalizzazione non fanno di certo piacere, ma non mi interessano».
Il suo migliore traguardo in questa legislatura?
«Il traguardo non è il mio ma quello di una squadra, che ha prodotto un lavoro serio e impegnato. Abbiamo portato avanti numerosi dossier, gestendo nel frattempo la crisi del Covid e quella della guerra in Ucraina. Ringrazio tutti i collaboratori».
E il suo rimpianto?
«La pandemia ha frenato i contatti con le persone e le occasioni di scambio sono state molte meno, all’interno del Dipartimento così come sul territorio, presso i nostri partner. Anche la vicinanza con la popolazione ne ha risentito».
Che hobby ha Raffaele De Rosa?
«Cerco di fare dello sport (corsa nel verde, passeggiate in montagna, qualche partitella a calcio). I (rari) momenti di tempo libero li dedico interamente alla mia famiglia».
Perché un ticinese dovrebbe votarla?
«Do sempre tutto me stesso, senza riserve e col massimo impegno. Non pretendo di andare a genio a tutti, e nemmeno che la si pensi sempre come me: contano l’energia e la presenza garantite giorno per giorno. Queste davvero non mancano mai».