Droga, alcol, aggressioni. Sempre più persone vivono in una zona grigia. L'opinione dello psichiatra Orlando Del Don.
BELLINZONA/ LUGANO - C'è chi passa la giornata a fumare o a bere alcol, chi importuna i passanti, chi spaccia o consuma droga, chi ha atteggiamenti aggressivi. È boom di persone disagiate nella Svizzera italiana. Gente in invalidità o in assistenza, oppure in un limbo ai margini della società. «Il sistema – sostiene lo psichiatra Orlando Del Don – non è più in grado di reggere questo trend. C'è una fetta di popolazione che sembra non avere più nulla da perdere e si comporta come se l'intera società stesse colando a picco».
Eppure spesso le autorità elogiano il lavoro di rete che viene messo in atto per sostenere queste persone. Contraddittorio, no?
«Intendiamoci. La rete c'è. Ed è buona. Ma qui siamo confrontati con cambiamenti sempre più veloci, che creano incertezza. Pensiamo al lavoro, ai salari sempre più bassi, alla tecnologia. Siamo bombardati da situazioni negative per cui non ci sono soluzioni a portata di mano. Negli animi fragili questo può creare esasperazione, solitudine».
Il fenomeno concerne un po' tutte le fasce d'età.
«Esatto. Non è solo un problema dei giovani. Il futuro è sempre più un'incognita anche per le persone più mature. Appena hai capito come fare fronte a un problema, ne subentra un altro».
La multiculturalità ha un peso? In questo periodo si parla parecchio della situazione dei migranti a Chiasso...
«Può averlo. Le persone che arrivano da fuori si trovano già a dovere capire un contesto nuovo. Figuriamoci se poi vengono travolte dalla burocrazia o dagli obblighi. C'è chi non regge».
Sempre più famiglie allargate. Anche questa potrebbe essere una variabile determinante...
«In parte sì. Con genitori separati che si trovano magari sul lastrico proprio a causa di un divorzio. E con figli che non riescono a vedere nei padri o nelle madri dei validi punti di riferimento».
Qual è il problema più grande a suo avviso?
«È sempre più complicato fare previsioni. Una volta ti potevi immaginare come sarebbe stata la società di lì a cinque anni. Ora non è più possibile. Tutto si è fatto complesso, rapidissimo».
Mancano rassicurazioni?
«È evidente. Non arrivano dalle istituzioni. E nemmeno dalla scienza, che spesso è contraddittoria. Siamo aggrediti da stimoli negativi. Non ci piace la realtà che ci circonda. E diventa complicato distinguere le minacce reali da quelle immaginarie. La conseguenza è che la gente ha un sacco di confusione in testa e ha la sensazione di non avere più la vita in mano».
È un fenomeno che potremmo definire nuovo?
«Qualcosa di nuovo si sta facendo effettivamente strada. Un senso di impotenza, la mancanza di significato nell'orizzonte esistenziale di moltissime persone. Percepiscono un vuoto angosciante relativamente al quotidiano e, soprattutto, in riferimento a un futuro sempre più aleatorio».
Troppe pressioni nell'aria?
«Uno dei grossi problemi dell'era moderna è che la maggior parte dei rapporti sociali è funzionale al lavoro. Come se vivessimo per lavorare. Ne consegue che se resti escluso dal mondo professionale, rischi di entrare in una spirale paranoica, di sentirti uno scarto. Si fatica a dare un significato alla vita. E allo stesso tempo il sistema, che è chiamato a curare, fatica a reggere questa nuova forma di disagio sociale».
Chi è più in pericolo in un mondo del genere?
«Le persone iper sensibili. Quelle che hanno cuore e testa. Rischiano di cadere e di non rialzarsi più. Le persone più superficiali cadono, ma probabilmente soffrono di meno. Il vero rammarico è che allo stato attuale non c'è una vera soluzione per fare fronte a tutto questo disagio».