Sono più di 100 le persone che, annualmente, in Ticino, sono temporaneamente senza fissa dimora o in condizioni di emergenza alloggio.
BELLINZONA - Non dormono in strada, ma sono senza una casa e chiedono aiuto alle istituzioni. Sono circa 120/150 all'anno le persone che, in Ticino, sono temporaneamente senza fissa dimora o in condizioni di emergenza alloggio. I numeri, forniti dalla Divisione dell’azione sociale e delle famiglie (DASF) del Dipartimento della sanità e della socialità (DSS), descrivono una parte fragile e forse poco visibile della nostra società. «Circa due terzi delle persone - spiega la Divisione del DSS - sono residenti in Ticino, di cittadinanza svizzera o con un regolare permesso di soggiorno. Non si segnala un aumento di richieste da parte di giovani, ritenuto che in ogni caso eventuali minorenni che chiedono aiuto vengono ascoltati e accolti nell’ambito dei provvedimenti di protezione speciale».
I centri di prima accoglienza - Attualmente i centri specifici orientati alla prima accoglienza sono tre: casa Astra a Mendrisio, con 23 posti letto disponibili; Casa Martini a Locarno, con 16 posti letto e Casa Marta a Bellinzona, che aprirà prossimamente e disporrà di 20 posti letto più due appartamenti in grado di accogliere, sempre temporaneamente, dei gruppi familiari. «A queste strutture occorre aggiungere la disponibilità di alcune pensioni, distribuite su tutto il territorio cantonale, ad accogliere temporaneamente delle persone in difficoltà inviate dai servizi sociali cantonali e comunali. In particolare, le pensioni possono accogliere persone che non sono in grado di affrontare una quotidianità in luoghi di vita collettiva». Se una persona ospitata non è in grado di assumere i costi di vitto e alloggio, «gli uffici cantonali preposti, sulla base di specifici accordi di collaborazione, sono garanti per assicurare il minimo vitale necessario».
Nessuno dorme in strada - A differenza di quanto capita, per esempio, nella vicine città di frontiera (Como su tutte), sono pressoché inesistenti le persone che vivono in strada: «Può occasionalmente succedere - spiega la DASF - che delle persone dormano una o più notti all’aperto in quanto in transito nel nostro Cantone e senza risorse finanziare sufficienti per accedere a una pensione. Quando queste persone sono intercettate dalla polizia, vengono informate (e talvolta accompagnate) sull’esistenza dei centri indicati. La pandemia, stando agli elementi attuali, non ha inciso: «Non disponiamo di elementi che ci possano permettere di stabilire un nesso col peggioramento delle condizioni delle persone senza fissa dimora». Al contrario, «le difficoltà di spostamento a causa delle prescrizioni hanno contribuito a ridurre in parte il numero di persone confrontate con questo genere di situazioni. Anche nel periodo post pandemico non si segnala una recrudescenza del fenomeno».
«Assenza o rottura dei legami famigliari» - Non esiste una classifica dei motivi che portano le persone a “cadere” in uno stato di fragilità. Come sottolinea sempre la DASF, il denominatore comune è l’assenza o la rottura dei principali punti di riferimento affettivi e solidali, solitamente i legami familiari.
«Per quanto ci è dato a sapere, nel nostro Cantone le persone non “scelgono” di vivere senza fissa dimora; trovarsi in tali situazioni è la conseguenza di una serie di fattori, sovente connessi e cumulati, quali ad esempio lo sfratto esecutivo, la separazione, l’indebitamento, in ogni caso confrontati con una crisi, una rottura, come detto con i principali legami affettivi e familiari».
Marco D’Erchie, operatore presso casa Astra, sottolinea come una società sana dev’essere in grado «d’integrare e garantire ai propri cittadini pari diritti, opportunità e dignità. E la dignità è data anche dal lavoro».