Dieci anni fa, il 32enne, è rimasto folgorato durante un lavoro di manutenzione della linea di contatto della ferrovia.
Ha raccontato la sua esperienza in un libro. Il 14 gennaio ritirerà il Premio Massimo 2023 della Fondazione Cesare e Iside Lavezzari di Chiasso.
BALERNA - «Sarei ipocrita a dire che non è cambiato niente, ma non posso nemmeno affermare che la mia vita sia peggiorata. Solo mettendomi in gioco sono riuscito a voltare pagina. Piangersi addosso, non serve».
Descrive così Matteo Conconi il rapporto con la sua disabilità, a dieci anni di distanza dal tragico incidente che gli costò l’amputazione del braccio sinistro e dei danni a quello destro. Matteo, allora, aveva soli 22 anni e lavorava per le Ferrovie federali svizzere (Ffs) nel settore delle linee di contatto, a tu per tu con l’alta tensione.
Era il 15 novembre 2013, «il cielo era grigio e pioveva - racconta a tio/20 Minuti -. Mi ricordo l’umido, il freddo, il bagnato». E poi la scossa da 15mila Volt, durante la manutenzione della linea di contatto della ferrovia. Da lì la corsa disperata in ospedale nel tentativo di salvargli la vita, dove vi rimase per circa tre mesi.
Ricoverato in cure intense, ha lottato tra la vita e la morte: «È stato un calvario», dice. In quei giorni in cui «ero costretto a letto, venivo alimentato tramite sondino naso gastrico e assistito completamente dai professionisti sanitari». In quello stato, a preoccupare medici e infermieri era soprattutto il suo braccio, in stato di necrosi, che non accennava a migliorare. Dopo circa due mesi e mezzo dall'evento, di fronte a un elevato rischio di setticemia sistemica, la decisione, condivisa, di amputarlo.
L'operazione e il risveglio
In quel momento «ho cercato di evitare di pensare alle conseguenze. Non mi sono perso d’animo e ho voluto comprendere quanto potessi ancora fare e riuscirci al meglio». «È allora (dopo l'amputazione dell'arto, ndr) che la mia nuova vita è iniziata. Mi sono messo in gioco: essendo mancino ho dovuto imparare a fare tutto da zero e con una sola mano».
Ripensando a quei giorni, ricorda l'affetto e la forza trasmessagli dalla sua famiglia, in particolare da suo fratello Luca (appena 19enne), da mamma Luana e da papà Michele.
Più forte di prima
Nel suo vissuto è stato poi fondamentale il rapporto con nonna Renata. Fu lei a suggerigli di mettere nero su bianco la sua esperienza «per poter aiutare altre persone in difficoltà». Da lì la stesura del libro dal titolo: “Più forte di prima” (Salvioni editore, 64 pagine, prezzo 14 franchi), realizzato con il supporto di Pro Infirmis e «il prezioso aiuto» di Mara Travella, giovane autrice ticinese. «I proventi del libro raccolti sino a ora - aggiunge - sono stati devoluti all’associazione che si impegna contro il cancro infantile».
Premio massimo Lavezzari 2023
Il suo impegno e la sua straordinaria forza d'animo quotidiana, nel contrastare l'inflessibilità del destino, gli hanno permesso di essere nominato vincitore del Premio Massimo Lavezzari 2023. «Non me l'aspettavo proprio», commenta. «Quando mi hanno chiamato a casa pensavo fosse uno scherzo. Sono molto contento: è un bellissimo riconoscimento».
Le difficoltà ci sono, ma basta cambiare punto di vista
Matteo Conconi ora ha 32 anni. Nel tentativo di fare un bilancio della sua esistenza attuale sostiene che «è tornata a essere completa: ho un lavoro (ora è disponente del personale sempre le Ffs), una ragazza e faccio downhill... lo sport perfetto per la mia disabilità», ironizza. I limiti ci sono, racconta, ma la sua volontà gli impone di superarli.
Dai più complessi ai più semplici, trova sempre delle soluzioni per vivere nel modo più normale possibile, tanto che a volte «mi dimentico di avere perso il braccio», confessa. Con una protesi studiata ad hoc per lui, «ammortizzata per poter attutire i colpi», può divertirsi con la sua mountain bike per i boschi. O ancora «quando sono al ristorante e ordino una bistecca chiedo semplicemente di tagliarmela».