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Quando dicevano: «A ta mandum giò a Mendriis»

CANTONEQuando dicevano: «A ta mandum giò a Mendriis»

18.10.24 - 06:30
La storia di Casvegno e del suo ospedale psichiatrico raccontata nel documentario di Bruno Bergomi “Il Parco della speranza”.
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Quando dicevano: «A ta mandum giò a Mendriis»
La storia di Casvegno e del suo ospedale psichiatrico raccontata nel documentario di Bruno Bergomi “Il Parco della speranza”.

LUGANO - Per gli anziani momò sarà sempre e comunque «ul Manicomi», per quelli nati fra gli anni '70 e i '90 «il Neuro», per tutti quanti - in ogni caso - è e resta l'Ospedale sociopsichiatrico cantonale (Osc) oppure la Clinica psichiatrica cantonale (CPC).

Al di là delle nomenclature, che come i tempi cambiano, indelebile resta il marchio sul territorio di una struttura unica nel nostro cantone e che il regista mendrisiense Bruno Bergomi ha voluto immortalare in un documentario: “Il Parco della Speranza” che questo venerdì 18 ottobre (ore 18 all'Iride) verrà presentato al Film Festival Diritti Umani Lugano.

Una documentario che nasce, e che parte, dal punto di vista del Bruno bambino: «Io sono nato e cresciuto vicino all'Ospedale perché la nostra azienda agricola, in località Valletta, confinava proprio con la “ramina” che ne delimitava il perimetro», ci racconta Bergomi, «per lavorare a questo progetto, che accarezzavo da tempo, ho quindi attinto ai miei ricordi e da lì sono partito per questo viaggio».

Da quel seme si sviluppa poi un discorso cronistorico che racconta l'evoluzione nel corso degli anni di un'istituzione ma anche di un territorio, con i suoi cambiamenti socioculturali.

«All'inizio il ”Manicomi“, come lo chiamavano tutti, era chiuso ermeticamente con una rete di due o tre metri con in cima anche il filo spinato. C'era solo un'entrata che è dove oggi trovate la barriera per le auto... Noi ragazzini ci entravamo qualche volta per aiutare a dire la messa nella chiesetta, devo dire che la funzione con i matti era un'esperienza particolare (ride). Dopo le suore ci davano il te con i biscotti e cinquanta centesimi che usavamo per andare al cinema all'oratorio, in paese», ricorda Bergomi, «i pazienti al massimo ci facevano sghignazzare con i loro discorsi sconclusionati. Al di là del nostro sguardo naif però si celava una realtà di grandi sofferenze, di cure atroci e anche di internamenti coatti tremendi».

Negli anni '70 le cose cambiano, nel mondo, nel piccolo Ticino e anche nell'ONC che diventa «il Neuro», aprendo la struttura al mondo e inaugurando un nuovo modo di curare il disagio psichico, nascono le fiere autunnali e i momenti d'incontro con la popolazione: «Quando ero giovane e frequentavo la scuola di Mezzana se i ragazzi che provenivano da altre parti del Ticino sentivano che ero di Mendrisio si facevano quel gesto lì [si tamburella la tempia con il dito] e ridacchiavano. Non capivo perché. Per noi di Mendrisio non c'è mai stato questo stigma legato alle patologie mentali, faceva parte della normalità e abbiamo sempre accettato sia la struttura, sia le persone».

Casvegno, un'isola (più o meno) felice e bolla che può sì accogliere e proteggere i più deboli ma che non è immune dalle influenze del “fuori”, soprattutto in un presente così complicato come quello attuale.

La nota finale del “Parco della speranza”, anche malgrado il titolo, è quella della preoccupazione: sempre più ricoveri, molti dei quali coatti, di persone sempre più giovani, spesso con problemi di sostanze: «I dati parlano chiaro», conferma Bergomi, «c'è stato un cambiamento enorme che vede meno casi di malessere cronico e un'esplosione di casi acuti. Si parla anche di 25-30 ricoveri in alcuni fine settimana. E l'età si abbassa sempre di più fino ai 12, 13, 14 anni».

La prevendita per la proiezione de “Il Parco della Speranza” nell'ambito del Film Festival Diritti Umani Lugano è aperta su biglietteria.ch

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