L’autore del delitto di Caslano è stato condannato per assassinio. La pena sospesa a favore di un trattamento stazionario
LUGANO - È colpevole di assassinio il ventiquattrenne che, il 6 luglio 2018 a Caslano, uccise la nonna e poi diede fuoco al suo corpo. Lo ha deciso la Corte delle Assise criminali, che lo ha condannato a una pena di diciotto anni, sospesa a favore di un trattamento stazionario in una struttura chiusa. È inoltre stata riconosciuta la richiesta di 25’000 franchi per torto morale avanzata dall’accusatore privato. Lo ha comunicato poco fa il giudice Marco Villa.
Il tutto ha avuto origine da una richiesta di duecento franchi che la vittima aveva respinto, «un motivo futilissimo». «Dopo la risposta negativa della nonna, l’imputato ha avuto il tempo sufficiente di metabolizzare la situazione, dato che la vittima è andata in cucina a prepararsi un caffè». Ma non ne ha approfittato: «Avrebbe potuto andarsene, invece ha raccolto il martello che aveva preso in cucina e ha commesso il delitto, le ha voluto dare una lezione».
Secondo la Corte, il ventiquattrenne ha quindi agito per vendetta. «Per i rifiuti passati e per quello della notte stessa» ha spiegato il giudice. Si tratta di un sentimento, ha osservato, rilevato anche dalla perizia psichiatrica, che parla di «ridotta tolleranza davanti a dei rifiuti».
Per quanto riguarda la premeditazione, la Corte esclude che il gesto sia stato pianificato nei giorni precedenti. Ma ritiene che l’intenzione di uccidere la nonna sia maturata quando quella notte si stava recando verso l’abitazione: «Strada facendo la sua rabbia è cresciuta, perché sapeva che sarebbe andato incontro all’ennesimo rifiuto». E allora, una volta arrivato da lei e sceso in cantina per prendere una bottiglia di grappa, ha scelto di prendere anche l’arma del delitto, il martello. «Ha voluto mettere alla prova la nonna».
Nella commisurazione della pena è stato tenuto conto in particolare della scemata imputabilità, della giovane età dell’imputato, del suo vissuto e del carcere preventivo sofferto.
L’accusa: «Una vendetta» - L’accusa aveva insistito sulla premeditazione, chiedendo una pena di sedici anni. Senza opporsi alla sospensione a favore di un trattamento stazionario in una struttura chiusa. «Quella maledetta notte aveva deciso di mettere in atto un’azione vendicativa ancor prima di uscire di casa» aveva detto la procuratrice pubblica Margherita Lanzillo. E aveva sottolineato che la vittima era «strafelice di accogliere l’amatissimo nipote», ma era diventata più severa nel momento in cui il giovane si era avvicinato alla droga. «E lui aveva sviluppato un sentimento di vendetta».
La difesa: «Ha reagito per rabbia» - Il difensore, avvocato Daniel Ponti, aveva invece escluso la premeditazione. E si era battuto per una pena di undici anni, sospesa a favore di una terapia della durata di quattro anni (misura per giovani adulti). «Ha agito mosso dalla rabbia e dalla frustrazione causati dal rifiuto della nonna, non è partito con l’idea di farle del male».