Per la difesa la 29enne «gioca a fare la terrorista, ma non conosce il Corano, mangia maiale e si prostituisce».
L'attacco effettuato alla Manor, secondo l'avvocato Daniele Iuliucci, «non fu dunque un attentato terroristico». «Una confessione non può essere un mezzo di prova preso acriticamente per buono», viene evidenziato.
LUGANO - Parigi, novembre 2015. Berlino, dicembre 2016. Londra, giugno 2017. Si apre così, con una serie di date e il breve resoconto di vari attentati terroristici che hanno terrorizzato mezza Europa, l'arringa difensiva di Daniele Iuliucci, avvocato dell'accoltellatrice della Manor.
«Nessun attentato» - L'attacco del 24 novembre 2020 a Lugano «non fu però un attentato terroristico», sostiene la difesa, e perciò non può essere inserito in questa macabra lista. Questo, «contrariamente a quanto fatto intendere dalla Polizia federale, dalle autorità ticinesi e dai media da loro imboccati». «Mi rifiuto di paragonare questi avvenimenti con quanto successo a Lugano, perché sarebbe irrispettoso verso chi il terrorismo l'ha subito davvero», così Iuliucci.
«Mangia maiale e non conosce il Corano» - L'imputata, sottolinea, «mostra enormi problematiche sotto il profilo psichiatrico. Non conosce il Corano, i precetti fondamentali dell'Islam, non prega, non porta il velo, mangia maiale, non frequenta Moschee e si prostituisce. Non si capisce poi se si sia mai realmente convertita a questa religione, considerato che non ci sono prove in tal senso e che per farlo da minorenne avrebbe avuto bisogno l'approvazione dei genitori, che erano invece all'oscuro di tutto».
«Gioca a fare la radicalizzata» - Ne consegue che a «prescindere dal comportamento adottato dall'imputata successivamente ai fatti della Manor, quando ha iniziato a giocare a fare l'estremista islamica, la 29enne non ha mai vissuto come una vera musulmana». A confermare il tutto, i familiari e i conoscenti della stessa.
Conversazioni «con un ragazzetto qualunque» - L'uomo con cui comunicava via chat nei due mesi precedenti ai fatti, presunto combattente jihadista in Siria, non sarebbe inoltre stato altro «che un ragazzetto interessato solo a ricevere foto di nudo». Il giovane aveva poi scritto a chiare lettere, ricevendo dalla ragazza contenuti pro Stato islamico, di non essere un terrorista». In nessuno dei 2'500 messaggi scambiati, «costellati più che altro da emoticon, la 29enne ha poi parlato del presunto attentato di Lugano», sottolinea la difesa.
Un amico immaginario - L'account della seconda persona con la quale la 29enne sostiene di aver ugualmente parlato, anche in videochiamata, risulta poi inattivo da svariati anni. «Si è immaginata di conversare con una seconda persona che semplicemente non esiste».
«Bugiarda e delirante» - Pure fantasie e farneticazioni, quelle dell'imputata, che testimoniano «come la donna sia una bugiarda, delirante e mitomane e viva in un suo personale film di fantasia, del quale è la protagonista».
Le ammissioni della 29enne, continua la difesa, non hanno un riscontro oggettivo: «L'analisi della realtà dell'imputata è irrimediabilmente compromessa in virtù delle problematiche mentali che la affliggono».
Shopping prima dell'attentato? - La pretesa premeditazione sarebbe poi in contrasto con i fatti. «Quel giorno la donna aveva acquistato una maglietta della Guess e un deodorante. Oggetti che, se davvero avesse pianificato di agire quel giorno, sarebbero stati di intralcio e completamente inutili, dato che non aveva pensato ad alcuna via di fuga».
«Dichiarazioni incredibili» - Fin dal suo fermo l'imputata ha poi sottolineato svariate volte di non essere pazza. Questo ha condizionato il suo comportamento durante il corso dell'inchiesta, quando inizia a farsi passare per una super terrorista. Durante i vari interrogatori la giovane «si è però persa in sproloqui e divagazioni, contraddicendosi da sola e rilasciando dichiarazioni semplicemente incredibili».
Confessione = verità? - La difesa definisce infine scioccante come gli inquirenti abbiano creduto ciecamente alle versioni fornite dall'imputata, senza riscontro oggettivo: «Una confessione non può essere un mezzo di prova preso acriticamente per buono».