La direttrice sanitaria minimizza le sue responsabilità nel caso di Sementina: «Le accuse non sono basate sui fatti».
BELLINZONA - Pazienti sintomatici che pranzavano nella sala comune, test non fatti o svolti in ritardo e attività di gruppo organizzate nonostante il divieto. E ancora personale sanitario impiegato nonostante la positività al virus, visite di familiari permesse a pazienti sintomatici, mancato tracciamento dei contatti e libero accesso accordato a operai esterni per lavori di trascurabile importanza.
Sono queste, in sintesi, le negligenze che sarebbero state commesse tra marzo e aprile 2020 dal direttore amministrativo, la direttrice sanitaria e l'ex responsabile delle cure della casa anziani di Sementina e delle quali devono rispondere oggi davanti alla Pretura penale di Bellinzona. Tra marzo e aprile 2020 all'interno della struttura almeno 39 degli 80 pazienti presenti hanno contratto il Coronavirus, 22 dei quali hanno perso la vita.
Multe e fedina macchiata - L'ipotesi di reato, per tutti e tre gli imputati, è di ripetuta contravvenzione alla Legge federale sulla lotta contro le malattie trasmissibili dell'essere umano. L'accusa chiede 8'000 franchi di multa per la direttrice sanitaria, 6'000 per il direttore amministrativo e 4'000 per l'ex responsabile cure, più la copertura della tassa di giustizia e delle spese giudiziarie. La condanna, per i primi due, verrebbe iscritta al casellario giudiziale.
Accuse «non basate sui fatti» - A prendere la parola per prima è la direttrice sanitaria della struttura, tuttora impiegata alla casa anziani di Sementina e al Centro Somen, che contesta le accuse definendole «non basate sui fatti, sugli eventi e sull'attività da me svolta». «In quel periodo lavoravamo in stretta collaborazione con i medici di famiglia, che hanno ricevuto le mie stesse direttive», sottolinea la 47enne, «in molti dei casi sono intervenuta nel trattamento dei pazienti solo in seconda battuta, mentre in prima battuta è intervenuto il medico di famiglia». In alcuni casi, specifica «non sono nemmeno mai stata interpellata. E in ogni caso io non avevo accesso alla cartella del medico di famiglia, per cui mi basavo sui decorsi infermieristici stilati».
«I medici di famiglia non avevano più accesso alle case anziani» - Per la procuratrice pubblica Pamela Pedretti però, lo "scaricabarile" ai medici di famiglia non è giustificato. «A partire dal 14 marzo, ha dichiarato lo stesso direttore amministrativo, è stato deciso che i medici di famiglia dei degenti non avevano di regola più accesso alle strutture, la cura degli stessi era perciò affidata ai direttori sanitari. Di principio ai medici era stato chiesto di evitare visite in struttura». «Le visite del medico di famiglia venivano accordate in caso di emergenza», replica la direttrice sanitaria. «Ma un anziano in stato febbrile, sopra il 37,6, è da considerarsi un caso urgente?», chiede l'accusa. «Adesso sì, prima no», afferma la 47enne.
«Aveva sempre mal di gola, perciò non è stato segnalato nulla di particolare» - Entrando nelle singole casistiche, la direttrice sanitaria giustifica il fatto che a una paziente che presentava mal di gola sia stato permesso di consumare i pasti nella sala comune. «La Signora diceva di avere mal di gola, sì, ma è un disturbo che lamentava settimanalmente, per cui gli infermieri non hanno ritenuto di fare segnalazioni particolari».
La visita concessa al paziente sintomatico? «Un errore» - «So che il paziente è stato portato al piano terra per vedere il figlio, ed è chiaramente stato un errore», spiega invece la dottoressa riguardo a un altro utente che aveva manifestato prima tosse poi tosse grassa e infine febbre che aveva continuato a consumare pasti in una saletta comune e al quale era stato permesso di incontrare il figlio lo stesso giorno in cui aveva presentato febbre. «Probabilmente ad accompagnare il Signore dal figlio è stata l'ausiliaria di cure, che avrebbe informato qualcuno ma non l'infermiera diplomata con la quale ho parlato io».
«I sintomi erano compatibili con malattie pregresse. E avevamo i tamponi contati» - Per quanto riguarda la gestione dei pazienti che presentavano sintomi, la ex responsabile cure spiega invece che molti di questi non venivano subito collegati al Covid perché i sintomi scomparivano nell'arco di una giornata ed erano sovente compatibili con le malattie pregresse dei pazienti. «Ricevevamo i tamponi contati», le fa eco la direttrice sanitaria. «Il medico cantonale diceva di riservare i tamponi ai casi più gravi», così il direttore amministrativo.