«Sono state tante, troppe, le disposizioni Covid violate alla casa anziani di Sementina», così l'accusa.
BELLINZONA - È il 13 marzo 2020 e il Consiglio federale interrompe le lezioni nelle scuole. Tre giorni dopo viene proclamata la situazione straordinaria e lanciato lo slogan "restiamo a casa", accompagnato dal divieto di formare assembramenti e la chiusura di ristoranti, bar e di tutte le attività ricreative. I media diffondevano le immagini della non lontana Bergamo, e le bare impilate una sopra l'altra diventavano il simbolo dell'effetto devastante della pandemia. Intanto, sottolinea la procuratrice pubblica Pamela Pedretti, alla casa anziani di Sementina venivano violate «tante, troppe disposizioni Covid».
«Eravamo a inizio pandemia, sì, ma una prima cosa sul virus l'avevamo capita tutti: gli anziani, se colpiti, andavano incontro a un decorso più grave», esordisce l'accusa. «Ci trovavamo in una situazione eccezionale e drammatica alla quale nessuno era preparato, ma è proprio perché vi erano moltissime incognite che le direttive e le raccomandazioni emesse dalle autorità andavano seguite alla lettera, non interpretate e messe in pratica in maniera più blanda».
Morto di Covid, senza mai un test - Alla casa anziani di Sementina, a dispetto dell'emergere dei sintomi, i test spesso non venivano fatti o venivano fatti tardivamente, continua Pedretti. E questo nonostante non vi fosse carenza di tamponi. «Il medico cantonale non ha mai chiesto ai direttori sanitari di valutare se fare il test o meno in presenza di sintomi che rientravano nella case definition (sintomi come tosse, mal di gola, episodi di vomito o febbre)». Il test «andava fatto e basta». Eppure a fine marzo, dopo diversi giorni con una temperatura corporea fuori norma, «il paziente D.G. è arrivato ad avere una febbre di 38,8 ed è deceduto il giorno dopo senza mai nemmeno essere stato sottoposto al tampone».
Quegli isolamenti che non c'erano - Il 2 marzo 2020 il medico cantonale aveva inoltre annunciato che se un ospite presentava sintomi simil-influenzali doveva essere isolato in camera, evidenzia la procuratrice pubblica. Ma alla casa anziani di Sementina i residenti sintomatici pranzavano con tutti gli altri e partecipavano ad attività di gruppo. Tra loro, esemplifica Pedretti, «D.R. ha partecipato a un'attività con altri 10 residenti mentre aveva 38 di febbre».
«Ma quali distanze?» - E che le distanze tra gli ospiti non fossero sufficienti né durante i pasti, né durante le attività di gruppo lo indicherebbe un rapporto stilato dall'Associazione dei direttori delle case anziani della Svizzera italiana (ADiCASI). In tale rapporto l'ADiCASI aveva specificato come disporre la sala da pranzo in occasione di una formazione proprio relativa al Covid e aveva specificato che quest'ultima si sarebbe dovuta svolgere con un massimo di 10 persone alla volta, e che le sedie avrebbero dovuto essere tolte per creare il giusto spazio e garantire le distanze di sicurezza. «È dunque evidente che la disposizione della sala da pranzo fosse inadeguata per un numero di persone ben superiore alle 10», afferma Pedretti.
Più assistenti di cura hanno poi testimoniato, continua l'accusa, «che la disposizione della sala da pranzo e delle salette ai piani non era stata cambiata rispetto al pre-pandemia».
«Durante le attività, addirittura, si cantava» - Le attività socializzanti di gruppo, distanze o meno, erano poi vietate già dal 9 marzo, ricorda Pedretti, «come stabilito dal medico cantonale». Lo stesso giorno l'ADiCASI, a scanso di equivoci, aveva specificato che «non era possibile tenere attività di gruppo». «E qui», afferma la pp., «non c'è interpretazione che tenga». Ma le attività alla casa anziani di Sementina c'erano eccome e, «secondo la testimonianza di un'ausiliaria di cure, c'era persino chi cantava», nonostante fosse nota la pericolosità di questa pratica rispetto alla trasmissione del virus.
Far lavorare la dipendente positiva? «C'erano delle alternative» - Ritenuta poi «non giustificabile» la scelta di impiegare un'operatrice sociosanitaria risultata positiva al virus durante un turno di notte ad aprile 2020. «Sì, ha lavorato nel reparto Covid, ma su quel piano vi erano anche ospiti sani». L'operatrice sociosanitaria «ha infatti successivamente dichiarato di non essersi sentita a suo agio a lavorare in quella circostanza, ma di averlo fatto per paura di perdere il posto». Secondo Pedretti «non risulta inoltre che vi fosse una grave carenza di personale al momento dei fatti e c'erano due collaboratrici che in base alla turnistica avrebbero potuto essere chiamate in sostituzione». Inoltre «anche l'ex capo cure stessa si era messa a disposizione».
L'accusa chiede dunque, come già annunciato, 8'000 franchi di multa per la direttrice sanitaria, 6'000 per il direttore amministrativo e 4'000 per l'ex responsabile cure, più la copertura della tassa di giustizia e delle spese giudiziarie. La condanna, per i primi due, verrebbe iscritta al casellario giudiziale.