Il gruppo torinese torna in Ticino allo Studio Foce con un concerto ska punk pieno di energia e di gioia
LUGANO - Sul palco da 35 anni, quel "dal 1988" che suona generazionale e anche un po' immortale. Sono i Persiana Jones, una band torinese che è arrivata fin nei campus americani, e che con la loro ska punk sono saliti sui palchi d'Italia e d'Europa con gruppi del calibro dei Sex Pistols e dei Motörhead.
Fedeli al sound, non hanno mai cambiato lo stile della loro musica. E continuano ancora oggi a realizzare brani che suonano come colonne sonore della vita. Recentemente hanno pubblicato il loro ultimo lavoro, "Una vita fantastica", in cui ripercorrono 35 anni tra concerti, sale prove e lunghi viaggi. Tra qualche giorno, il prossimo venerdì 24 novembre, faranno tappa allo Studio Foce Lugano per la rassegna Punk in Foce. Nell'attesa, abbiamo incontrato il bassista e membro fondatore dei Persiana Jones Beppe Carruozzo, detto Beppe il Bassista.
Siete stati davvero ovunque, anche quando internet era solo un miraggio..
«Sì, e siamo stati parecchio anche in Svizzera. Adesso è un po’ di anni che manchiamo perché c’è stato un momento in cui ci eravamo un po’ stancati di un certo sistema. Poi sai, non l’abbiamo mai vissuta come una professione principale, anche se avremmo potuto. La musica per noi è sempre stata un divertimento. Nel 2009 più o meno eravamo un po’ scocciati, non ci divertivamo più molto. E l’ultimo album che avevamo fatto risaliva già al 2007».
Però non vi siete mai davvero fermati...
«Sì, siamo andati avanti a suonare lo stesso. Volevamo fare qualcosa di particolare. E nel 2013 abbiamo fatto uscire una raccolta. Doveva essere una trilogia, ma dopo che abbiamo registrato i primi quattro brani, il nostro produttore è mancato in un incidente in moto. Siamo rimasti un po’ così e il progetto si è arenato. Andavamo in giro, facevamo pezzi acustici. Abbiamo cercato di fare delle cose un po’ particolari perché volevamo staccarci dal circuito. Nel 2019 è tornato il batterista che aveva suonato con noi dal 97 al 2003, quindi abbiamo realizzato un altro ep, “Ancora”, e abbiamo fatto una serie di concerti: siamo anche tornati in Repubblica Ceca».
Dopo 16 anni avete pubblicato un nuovo album. Come siete arrivati a svilupparlo?
«Nel 2020 c’è stato il lockdown e io ho scoperto di avere un cancro. Il 2021 l’ho utilizzato per recuperare e nel 2022, visto che ero ancora vivo, abbiamo organizzato una grigliata con concerto. Doveva essere una cosa privata, con pochi amici, e ci siamo ritrovati con 500 persone. Rivivere certe sensazioni ci ha dato nuovi stimoli. Abbiamo scritto nuovi pezzi, sono diventati quattro, poi cinque, poi sei e infine un album, che a me piace tantissimo. E non lo dico perché ci ho lavorato. È sempre capitato avere magari dei pezzi che non ti convincevano, ma che a un altro piacevano e quindi li si inseriva. È stato quello che ho suonato di più, proprio perché la malattia mi ha causato una neuropatia alle mani e ho dovuto riabituarmi allo strumento. Si bloccava la mano sinistra e per un bassista è un problema».
Parlando di concerti, nell’album si sente tanta nostalgia. Vi mancano gli show degli anni Novanta?
«È un tema che avevamo già toccato in “Brucia dentro”, un brano del 2019. E parla proprio del rallentare dopo essere stato in un vortice. Noi facevamo tra le 60 e le 70 date all’anno, che avendo tutti un lavoro è un buon numero. E andare in giro come lo facevamo noi voleva dire mancare da casa anche per diversi giorni. Quando rallenti cominci a pensare. Ti ritrovi magari in sala prove a strimpellare e viene fuori qualche aneddoto e ti rendi conto che eri talmente tanto di corsa che non avevi la possibilità di vivere appieno certe situazioni certe date. Mi ricordo una data a Zurigo. Al Gottardo aveva nevicato e ci abbiamo messo nove ore ad arrivare da Torino. E nonostante il viaggio e la stanchezza, abbiamo suonato lo stesso. Poi ci ripensi e dici: rifarei anche quella. Abbiamo cercato di mettere in musica questi ricordi. Questo album, “La vita fantastica”, lo trovo più positivo. Non c’è rimpianto, ma consapevolezza di quello che abbiamo fatto e orgoglio, perché comunque 35 anni sul palco non ci stanno tutti. I temi sono anche attuali. Il primo brano parla di fermare il tempo. Prendi i social, che considero uno strumento stupendo, ma che se non li sai adoperare ti causi dei danni. Per esempio: c’è un tramonto bellissimo. Tu cosa fai? Prendi il telefonino, scatti, posti, cominci a guardare se ci sono like e commenti e intanto il tramonto è passato. Cerchiamo di viverci di più il momento, perché c’è gente che non se la sta vivendo la vita».
C’è qualcosa che avreste voluto vivere, ma che per ora non siete ancora riusciti a fare?
«Musicalmente penso che abbiamo fatto tutto quello che rientrava nelle nostre possibilità. Mi sarebbe piaciuto fare un tour da trenta giorni, ma non è mai stato possibile per il lavoro e quindi partivamo per sette giorni al massimo. Che poi dovevamo utilizzare le ferie, i congedi e i permessi. Perché appunto avevamo tutti un lavoro. Ed è una cosa che ci ha dato anche dei privilegi. Perché ci dava la possibilità di scegliere se fare o meno un concerto. Una volta eravamo stati chiamati vicino a Roma e anche dalla Repubblica Slovacca, e ci interessava di più andare a vedere cosa succedeva nella seconda. Non fossimo andati, non avremmo partecipato a tanti festival che poi abbiamo fatto in quelle zone. E grazie a questo abbiamo anche potuto suonare con i Sex Pistols per esempio. Abbiamo condiviso il palco con i Motörhead, con dei grandissimi gruppi della scena. Abbiamo sempre privilegiato le situazioni alla fama. Mi chiedi cosa mi manca, ti dirò: non mi manca. Vorrei più concerti, magari un po’ più di salute. Ho appena passato un momento critico, ma si va avanti perché è bello, è divertimento».
Cosa deve aspettarsi il pubblico di Lugano?
«Sono felicissimo di tornare a suonare a Lugano, dove siamo stati anni fa. Ricordo concerti pieni di gente e altri in cui la sala non era piena. Chissà come sarà questo. Spero solo che la gente si diverta. Noi di sicuro vogliamo trasmettere gioia. Per noi un concerto è un momento in cui stare insieme, dove condividere, con la gente che sorride sotto il palco. Quest’anno è stato così ovunque. Io spero che la gente ci sia e che stia bene con noi. Noi non abbiamo mai guardato i numeri, che ci fossero cento, mille o sessantamila persone, abbiamo sempre suonato nello stesso modo. Possiamo essere in pochi o in tanti, il pubblico si merita sempre il massimo che si può dare».
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