Il premier italiano ha dovuto giustificare le sue scelte in merito alla chiusura dell'intera Lombardia
Il presidente del consiglio italiano ha ribadito di aver agito «in scienza e coscienza»
MILANO - Non dichiarare "zona rossa" i comuni di Alzano Lombardo e Nembro e decidere di chiudere l'intera Lombardia due giorni dopo fu una scelta politica che arrivò dopo un confronto all'interno del governo e tra l'esecutivo e gli esperti. Una scelta, inoltre, condivisa con la Regione Lombardia che, come previsto dalla legge, avrebbe potuto agire anche autonomamente.
Questo il racconto del premier italiano Giuseppe Conte ai pubblici ministeri di Bergamo che lo hanno ascoltato a Roma come persona informata sui fatti: tre ore durante le quali il premier ha ribadito di aver agito «in scienza e coscienza» in quei giorni in cui in tutta la Lombardia e in Val Seriana i contagi schizzarono in maniera esponenziale.
«Ho chiarito tutti i passaggi nei minimi dettagli», ha detto al termine dell'audizione. Un incontro scandito da un clima che fonti di governo definiscono «ottimo», anche se nella maggioranza resta il timore che il premier, e i ministri coinvolti, possano finire nel registro degli indagati.
Versione confermata - La versione di Conte è stata confermata dal ministro della Salute Roberto Speranza, anche lui come il premier italiano convinto delle scelte fatte. «Penso che chiunque abbia avuto responsabilità dentro questa emergenza, dal capo dell'Organizzazione mondiale della sanità al sindaco del più piccolo Paese, debba essere pronto a rendere conto delle scelte fatte. È la bellezza della democrazia. È giusto che sia così. Da parte mia ci sarà sempre massima disponibilità nei confronti di chi sta indagando», ha detto al termine dell'audizione nella quale ha ricordato l'articolo di legge che consentiva alla Lombardia di procedere alla chiusura in maniera autonoma.
L'invio di centinaia di appartenenti alle forze di polizia nella zona della bergamasca tra il 4 e il 6 di marzo è stato invece chiarito agli inquirenti dalla ministra degli Interni Luciana Lamorgese. Per attuare le decisioni del governo italiano, è stata la spiegazione, il ministero deve farsi sempre trovare pronto e muoversi in anticipo rispetto ai tempi. Così è avvenuto in passato e così è avvenuto anche stavolta.
La prima riunione del Comitato tecnico scientifico in cui si affrontò la situazione di Alzano e Nembro fu il 3 marzo, al termine della quale gli esperti valutarono la necessità di chiudere l'area. Il giorno dopo il presidente del Consiglio chiese un ulteriore approfondimento ai tecnici, per capire se fosse necessario decretare la zona rossa o, vista la situazione nell'intera Lombardia, si dovesse procedere con un provvedimento più ampio.
E proprio quel 4 marzo in provincia di Bergamo si dava già per scontata la chiusura e non era una decisione che piaceva a molti: «è vero che bisogna contenere i contagi - furono le parole del sindaco di Alzano Camillo Bertocchi - ma una zona rossa sarebbe un danno incalcolabile per l'economia». Alle richieste del premier rispose il 5 marzo il presidente dell'Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro ribadendo che, pur essendo la situazione grave in diversi comuni della Regione, sarebbe stato opportuno chiudere i due comuni della Val Seriana.
Si arriva così al 6, quando Conte e Speranza vanno alla Protezione civile e si collegano con il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana e l'assessore lombardo al Welfare Giulio Gallera. È la riunione in cui si decide di chiudere tutta la Lombardia e altre 14 province - Brusaferro, a specifica domanda dei cronisti, rispose «stiamo valutando, siamo in fase di analisi» - anche se poi il noto decreto sarà firmato la notte dell'8 marzo.