Ci sono quattro categorie di propagatori, secondo la classificazione di un saggio del 2009 di Cass Sunstein.
Alcuni sono mossi dall'interesse personale, altri sono spinti dalla malignità. Qualcuno, però, è in buona fede.
LUGANO - Negli ultimi mesi, complice la pandemia di coronavirus, si è assistito a un proliferare di voci, bufale, false dicerie e teorie del complotto sui più svariati argomenti.
Per cercare di capire come nascono e, ancor di più, come si diffondono queste teorie che corrono velocissime sui social, siamo andati a ripescare un saggio del 2009, pubblicato dalla Princeton University Press e tradotto in italiano l'anno successivo. S'intitola "Voci, gossip e false dicerie. Come si diffondono, perché ci crediamo, come possiamo difenderci" e lo ha scritto Cass R. Sunstein, professore universitario e studioso di diritto statunitense, collaboratore di Barack Obama alla Casa Bianca e ora docente alla scuola di legge di Harvard.
«Le dicerie vengono spesso messe in circolazione da propagatori consapevoli, che possono credere o meno a ciò che diffondono» spiega Sunstein, che passa quindi a identificare quattro categorie d'individui, con determinate caratteristiche e motivazioni.
Coloro che sono spinti dal puro interesse personale - Per ottenere i propri obiettivi non si fanno scrupoli a danneggiare altri individui o gruppi di persone. «Vogliono fare soldi, vincere qualche tipo di competizione o comunque conquistare un vantaggio». Tra gli esempi fatti da Sunstein ce n'è uno decisamente attuale: «Spesso i sostenitori di un candidato insinuano che il rappresentante del partito avversario nasconde nel suo passato un segreto inconfessabile». Quello che si è visto con la teoria del complotto nota come QAnon, che ha messo nel mirino nomi illustri del Partito democratico e in particolare il Presidente eletto Joe Biden. Per dimostrare come ciò rientri nella categoria della ricerca dell'interesse personale, Sunstein aggiunge: «Quando i membri del Partito repubblicano diffondono delle voci su un politico designato dal presidente democratico (all'epoca Obama, ndr), sperano di colpire non solo la reputazione e il credito di cui gode il funzionario, ma anche quella del presidente e di tutto il Partito democratico, favorendo in questo modo gli interessi dei repubblicani».
Chi è mosso dall'interesse personale in senso generale - Ovvero chi «cerca di conquistare lettori o di attirare l'attenzione diffondendo delle dicerie». Non c'è un guadagno diretto nello screditare e infangare la reputazione di qualcuno, se non in termini di convenienza economica derivata dalla ricerca di click o di audience. «Per quanto grave, il danno si rivela collaterale» osserva Sunstein. Non tutti lo fanno per denaro: «Ci sono persone che pubblicano falsità su Internet con il solo scopo di attirare l'attenzione. Chi mette in circolazione pettegolezzi infondati rientra in questa categoria».
I propagatori altruistici - È la categoria più interessante tra quelle elencate nel saggio. Gli individui che ne fanno parte sono «impegnati a sostegno di una causa». Accusando qualcuno o mettendo alla berlina qualcosa - che i vaccini o le mascherine facciano male, che Biden faccia parte di una pericolosa rete di pedofili e così via - «stanno cercando di promuovere quello che nella loro mente è il bene pubblico» e sperano di contribuire, seppur giocando sporco «alla causa in cui credono». Sunstein comprende i propagatori altruistici, ma non li assolve: «Possono essere straordinariamente disinvolti nei confronti della verità, nel senso che a volte sono disposti a dichiarare consapevolmente il falso, e più spesso sono pronti a fare affermazioni della cui veridicità non sono certi». Lo stesso vale per chi, spesso in assoluta buona fede, condivide sui social contenuti che in realtà sono imprecisi o del tutto fasulli. Perché avviene? Perché su Internet (ma non solo) «prospera una specie di industria dell'indignazione», che produce voci false o ingannevoli «su persone che hanno un'opinione diversa da quella di chi esprime il suo sdegno». Chi è indignato, aggiunge Sunstein, cerca di "contagiare" chi gli sta intorno con quella che pensa essere la bontà delle ragioni che gli hanno suscitato questa emozione.
Chi ha motivazioni maligne - «Cercano di svelare e diffondere particolari imbarazzanti o lesivi non per interesse personale o per una causa, ma semplicemente per ferire». La volontà di danneggiare può nascere da risentimento o dall'essere convinti (a ragione o meno) di aver subito un torto. «Provano un piacere autentico e profondo nel danneggiare il prossimo» e, sottolinea Sunstein, «può non esserci uno stretto legame fra le loro affermazioni e la verità». L'autore avverte: non per forza il bersaglio può essere un nome famoso, ma anche una persona comune. In questo caso i propagatori maligni «costituiscono una seria minaccia» perché possono compromettere la carriera, la reputazione e le relazioni sociali di chi vogliono colpire. «Spesso queste voci sono resistenti, e anche se non lo sono possono sollevare interrogativi e dubbi che perseguitano per parecchio tempo i malcapitati».