Sul complesso rapporto fra social network e politica, aziende private e cosa pubblica
NEW YORK - Apple, Amazon e Google scaricano Parler, il Twitter di destra amato dai sostenitori di Donald Trump. L'accusa è quella di non aver preso le misure necessarie per affrontare le minacce di odio e violenza in seguito all'assalto al Congresso.
La decisione infiamma il dibattito già acceso sul ruolo e sul crescente peso dei social media dopo che Twitter e Facebook hanno sospeso Donald Trump, spaccando l'opinione pubblica fra chi parla di censura e chi di decisione tardiva.
Nel mettere a tacere il presidente, Twitter e Facebook hanno mostrato i muscoli facendo «vedere chi ha il potere nella società digitale», osserva il New York Times ricordando come i nomi di Mark Zuckerberg e Jack Dorsey non sono mai apparsi in nessuna elezione eppure i due manager, «responsabili solo davanti ai loro consigli di amministrazione e ai loro azionisti», hanno un «enorme potere».
Blocco controverso, sì ma legale
Secondo i costituzionalisti, chi come i repubblicani parla di violazione del primo emendamento per Twitter e Facebook - ma anche per Apple, Amazon e Google - sbaglia. L'oscuramento di Trump e lo stop di Parler sono infatti perfettamente legali perché il Primo Emendamento vieta la censura al governo e non si applica alle decisioni di società private.
Il dibattito è complesso e apertissimo: pur ritenendo corrette le decisioni della Silicon Valley, molti si interrogano sul potere che ha accumulato e che le consente di rimuovere chiunque dalle loro piattaforme, divenute indispensabili per miliardi di persone.
Per Trump e i repubblicani, comunque, per ora la sospensione del presidente dai social è relativamente una "buona notizia" perché offre l'occasione di scagliarsi contro la Silicon Valley liberal distraendo l'attenzione dai problemi più immediati, quali un possibile impeachment e un partito spaccato.
Social e politica, un discorso che s'ha da fare
Nella discussione si è inserito, dall'altra parte dell'Oceano, anche l'Alto rappresentante per la politica estra dell'Unione europea Josep Borrell: e se a suo parere «occorre poter regolamentare meglio i contenuti dei social network, rispettando scrupolosamente la libertà di espressione», tuttavia «non è possibile che questa regolamentazione sia attuata principalmente secondo regole e procedure stabilite da soggetti privati».
A restare delusi sono gli 88 milioni di follower di Trump, molti dei quali fuggiti da Twitter e approdati su Parler per le sue politiche meno rigide. Ora però anche Parler è bloccata.
«Big Tech vuole uccidere la concorrenza, e ha messo in atto uno sforzo coordinato per rimuovere la libertà di parola da internet», denuncia l'amministratore delegato di Parler, John Matze, dando voce alla frustrazione dei suoi follower e della destra che vedono nei liberal della Silicon Valley l'espressione dei democratici e della «sinistra radicale».