In Brasile sono morte oltre 370mila persone per via del Covid-19. Tra queste, 852 avevano meno di 9 anni
Christos Christou, presidente internazionale di Medici Senza Frontiere: «La risposta mancata in Brasile ha causato una catastrofe umanitaria».
BRASILIA - Tra il febbraio del 2020 e la metà di marzo del 2021, 852 bambini sono morti a causa del Covid-19 in Brasile. 852 bambini che non avevano compiuto i 9 anni di età, compresi i 518 neonati di neanche un anno di vita. Questi i dati forniti dal Ministero della Salute brasiliana e riportati dalla Bbc anche se, secondo le stime dei medici e dell’Ong, i casi conclamati potrebbero essere più del doppio.
L’epidemiologa Fatima Marinho dell’Università di San Paolo sostiene che troppo spesso, in Brasile, la diagnosi di Covid per i bambini arriva tardi. «Abbiamo seri problemi a rintracciare i casi, non abbiamo abbastanza test per la popolazione in generale e ancora meno per i bambini. I più vulnerabili sono i bambini di colore e quelli provenienti da famiglie disagiate per le quali è più difficile ricevere aiuto». La dottoressa Marinho ha preso a campione i decessi da sindrome acuta respiratoria, non registrati come Covid, e ha scoperto che sono stati 10 volte superiori rispetto al periodo precedente allo scoppio della pandemia. È quindi giunta alla conclusione che dall’inizio dell’epidemia da coronavirus sono morti in Brasile 2.060 bambini fino ai 9 anni di età, compresi 1.302 neonati.
La situazione in Brasile è drammatica e sono di pochi giorni fa le strazianti immagini di pazienti affetti da Covid e legati al letto per essere intubati senza sedazione perché carente nelle strutture ospedaliere. Per Christos Christou, presidente internazionale di Medici Senza Frontiere «in più di un anno di questa pandemia, la risposta mancata in Brasile ha causato una catastrofe umanitaria. Le misure che abbiamo visto funzionare in altri contesti, come la limitazione dei movimenti, l’uso della mascherina e l’aumento delle misure d'igiene, non sono state qui implementate. I messaggi di sanità pubblica sono stati associati a messaggi politici e come medico non posso accettarlo». Dall’inizio della pandemia il Brasile conta oltre 370mila vittime ed è il terzo Paese al mondo, dopo gli Stati Uniti e l'India, per numero di casi.
Il caso di Lucas
Per far capire ancora di più la drammaticità della situazione, la Bbc ha esaminato il caso di Lucas, un bimbo in ottima salute e senza alcuna patologia, che, portato a maggio dello scorso anno dal medico perché privo di appetito, non è stato sottoposto ad alcun tampone ed è stato rimandato a casa con una cura contro il mal di gola. Dopo essere stato curato con degli antibiotici, il bambino continuò ad apparire sempre più stanco e apatico e, secondo quanto riferito dalla madre Jessika, «non respirava normalmente». A giugno, le condizioni del bambino peggiorarono e una volta portato in ospedale risultò positivo al virus. Gli venne diagnosticata una sindrome infiammatoria multipla e fu intubato nel reparto di terapia intensiva pediatrica dove rimase per ben 33 giorni senza svegliarsi mai più. La drammatica vicenda di Lucas è esemplificativa di ciò che sta accadendo in Brasile dove, a dispetto dell’abbondante documentazione sul fatto che il coronavirus non sia letale per i bambini, è in corso una strage degli innocenti.
I fattori di rischio nei più giovani
A causa della terza ondata di Covid, i casi d'infezione da coronavirus nel mondo hanno superato i 142 milioni. Nella sola India sono stati superati i 15 milioni di contagi mentre in Africa si raggiungono quasi i 4,5 milioni. Alla tragicità di tale situazione, vi è un dato che si fa ancora più preoccupante: l’Oms, alla luce dei nuovi dati sul Covid-19, ha avvertito che i casi d'infezione tra bambini e neonati si sono moltiplicati fino a 7 volte.
Nel dettaglio, secondo quanto riferito dall’Organizzazione mondiale della Sanità, i casi fra i bambini fino a 4 anni di età, dal 24 febbraio al 12 luglio scorso, sono aumentati di ben 7 volte, nella fascia di età 5-24 anni di 6 volte, mentre tra gli adulti di età compresa tra i 25 e i 64 anni di 3 volte. Secondo quanto riferito dall’Oms, l’aumento esponenziale dei casi tra bambini può essere dipeso da vari fattori tra i quali il fatto che prima i tamponi fossero quasi esclusivo appannaggio delle fasce di età adulte e con sintomi più rilevanti. Attualmente, quindi, vi è maggiore attenzione a individuare i casi che manifestano sintomi più lievi, diffusi tra i giovani e giovanissimi. Altro fattore di rischio è la diffusione della malattia in Paesi con una popolazione giovane dovuta a comportamenti a rischio quali la movida e l’abbandono del distanziamento sociale. La situazione, poi, si complica enormemente nei paesi poveri o in via di sviluppo dove le fasce più giovani della popolazione devono fare i conti, fin dalla nascita, con situazioni di estrema povertà e indigenza. In questi casi sperare di aver tamponi disponibili per una seria profilassi o applicare regole d'igiene sono pura utopia. Lo stesso dicasi per i Paesi martoriati dalla guerra.
Save The Children, organizzazione non governativa a servizio dell’infanzia, lancia l’allarme e denuncia che in Iraq, ma lo stesso dicasi per la Siria, sempre più bambini sono infettati dal Covid-19 senza avere la possibilità di accedere ad alcun tipo di cure mediche. L’Organizzazione riferisce anche di numerosi casi di bambini morti a causa della ‘variante inglese’, ossia la variazione del virus individuata per la prima volta in Gran Bretagna. Il Ministero della Salute iracheno ha registrato migliaia di casi, con un aumento del 11% nelle ultime due settimane di febbraio. Il numero dei minori a cui è stata diagnosticata l’infezione è passato dagli 11.699 casi dell’11 marzo ai 13.546 del 24 marzo. Un aumento dei casi pari al 15,7% in sole due settimane. E questa è solo la punta dell’iceberg visto che la maggior parte dei bambini non ha la possibilità di essere portato all’ospedale.
Diversa dalle epidemie del passato
Inoltre, molto spesso, la diagnosi viene fatta in cliniche o farmacie dove non si procede a effettuare una registrazione ufficiale. Ciò a cui stiamo assistendo rappresenta un cambio radicale rispetto al passato in cui le fasce di età più giovani sono sempre risultate più al sicuro rispetto al dilagare di nuove infezioni. Durante l’epidemia di Sars del 2003, per esempio, i casi di contagio tra i bambini furono appena 80 mentre quelli sospetti 55. Nessun bambino inoltre morì a causa di tale infezione. Stesso discorso per l’epidemia di Mers del 2012 in Medio Oriente durante la quale, la maggioranza dei bambini colpiti, non ha manifestato sintomi. Allo scoppio della pandemia da Sars-Cov-2 i bambini risultarono da subito poco sensibili all’infezione che mieteva vittime tra la popolazione più anziana e fragile per la presenza di patologie pregresse. Attualmente, invece, si registra un preoccupante aumento dei casi d'infezione tra la popolazione più giovane, anche bambini e neonati, a livello globale.
In Israele, lo scorso gennaio, i casi tra la popolazione di età compresa tra i 0 e i 9 anni di età e tra i 10 e i 19 anni sono stati più di 50 mila, superiori ai casi registrati in ciascun mese della prima e della seconda ondata della pandemia. I ricercatori hanno ipotizzato che ciò fosse dipeso dalla diffusione della variante inglese che sembra colpire maggiormente bambini e adolescenti. Preoccupa nel Regno Unito la diffusione della cosiddetta Pims, sindrome infiammatoria multisistemica pediatrica, che sta avendo una incidenza di circa 100 bambini colpiti ogni settimana.
Questa sindrome, per quanto rara, può manifestarsi molto tempo dopo aver contratto il Covid-19 e richiede il ricovero in terapia intensiva. Con riguardo all’Italia, in una recente intervista, il dottor Andrea Campana, primario del reparto di pediatria multispecialistica dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma, ha segnalato un aumento dei casi di sindrome infiammatoria sistemica che sono passati dai 4 casi della prima ondata a 7 dal primo settembre al 31 dicembre scorso. E se per la quasi totalità degli esperti l’infezione da Covid-19 viene superata «con sintomi lievissimi» dai bambini, i numeri sono di ben altra entità in Paesi come gli Stati Uniti che occupa il primo posto della classifica mondiale per numero d'infettati con oltre 31 milioni di casi. Qui si sono ammalati oltre 400 mila bambini e 101 hanno perso la vita. Un dramma nel dramma di una pandemia che sembra ben lontana dall’essere sconfitta.