Dopo il suo esposto negli Stati Uniti, l'ex dipendente ha oggi raggiunto anche i legislatori britannici
Intanto stanno venendo a galla i "Facebook Papers", sulla base dei documenti rilasciati dalla Haugen al Congresso USA
LONDRA - Facebook ha esperienza nell'affrontare crisi e attacchi, ma quello attuale è probabilmente il periodo più buio della storia del social network di Mark Zuckerberg e sono in molti, in particolare tra i dipendenti, a sperare che qualcosa possa cambiare.
Venerdì, diversi media statunitensi hanno iniziato a pubblicare una serie di storie - collettivamente chiamate "The Facebook Papers" - basate su centinaia di documenti interni della società che sono stati consegnati al Congresso statunitense dai legali di Frances Haugen, la talpa di Facebook. Tra questi, la CNN, il Wall Street Journal e il New York Times.
Utilizzato per «coordinare discordia e violenza», per «trafficare esseri umani», e «senza una moderazione efficace» dei contenuti, le accuse nei confronti della creatura di Zuckerberg si sprecano, e toccano diverse parti del suo business: in particolare la lotta contro l'odio e la disinformazione e la protezione degli utenti più giovani. Nel frattempo, l'azienda sembra perdere rapidamente la fiducia, e non solo tra alcuni dei suoi utenti, ma anche internamente.
«A cosa serve la commissione di vigilanza?»
Dopo aver parlato davanti al Congresso USA, oggi Haugen ha testimoniato di fronte al Parlamento britannico, ribadendo che l'azienda, di fronte alla scelta tra sicurezza e profitti, «continua a scegliere i profitti». Per l'ex dipendente, poi, Facebook ha «un enorme punto debole» quando si tratta di far arrivare i problemi su per la catena di comando, fino ai dirigenti.
Inoltre, «se Facebook può semplicemente ingannare l'Oversight Board - che è quello che ha fatto - non so quale sia lo scopo di tale commissione» ha denunciato. L'Oversight Board, lo ricordiamo, è una sorta di Corte Suprema per Facebook, composta da esperti esterni in settori come la libertà d'espressione e i diritti umani.
In aggiunta, la whistleblower ha detto che non c'è «nessuna volontà ai vertici» di Facebook di affrontare questi problemi. In seguito ha aggiunto che una delle sue principali preoccupazioni riguarda le altre lingue in cui è usata la piattaforma: «Facebook dice cose come "supportiamo 50 lingue", quando in realtà la maggior parte di queste lingue ricevono una piccola frazione dei sistemi di sicurezza che l'inglese riceve».
Facebook cambierà?
Insomma, non c'è una fine in vista per i problemi di Facebook, il cui CEO Mark Zuckerberg ha sempre negato le accuse, e sta ora pianificando di cambiare nome alla piattaforma. Una mossa che, secondo la CNN, potrebbe essere solo «una mano di vernice» che «non risolverà i problemi di fondo delineati nei documenti».
Ciò che è chiaro è che i riflettori sono puntati sul gigante tecnologico, per capire se lo scandalo attuale, probabilmente il più grande di sempre, possa far cambiare qualcosa: Facebook modificherà le sue politiche in risposta alle rivelazioni degli attuali ed ex-dipendenti e sarà più trasparente, o continuerà con gli affari come al solito, sotto un nuovo nome? Qualcosa in più, forse, la si scoprirà giovedì.
D'altronde, Haugen ha dichiarato anche che «se Facebook può affrontare i problemi che sono emersi, tra 10 anni sarà un'azienda più redditizia e di successo».