Lo rivela Reporter senza Frontiere che evidenzia come a essere fatali non sono per forza di cose le aree di guerra
PARIGI - «La violenza e i crimini contro i giornalisti sono al loro apice Secondo il calcolo effettuato da RSF, 990 giornalisti e membri degli staff di mezzi di comunicazione sono stati uccisi nel mondo fra il 2010 e il 2020 a causa o nell'esercizio del loro lavoro, consistente nell'informare il pubblico. Dall'inizio del 2021, ne sono stati uccisi già 39». È la testimonianza resa dal segretario generale di Reporter senza Frontiere, Christophe Deloire, al Tribunale permanente dei popoli, che ha aperto una procedura sugli omicidi dei giornalisti.
Le zone di guerra come l'Afghanistan o l'Iraq rimangono «estremamente pericolose per i giornalisti: dall'inizio della guerra in Siria nel 2011, RSF ha calcolato che sono stati uccisi 270 giornalisti (professionisti e non) e membri degli staff di mezzi di comunicazione. Negli stessi ultimi 10 anni, in Afghanistan ne sono stati uccisi 63. Ma anche Paesi che non sono 'zone di guerra' possono essere fatali, per i giornalisti: dal 2015, 62 giornalisti sono stati uccisi in Messico, 24 in India, 17 nelle Filippine».
Gli abusi ai danni dei giornalisti aumentano anche nell'Unione Europea: il loro numero «è raddoppiato negli ultimi due anni, e dal 2015, 14 giornalisti sono stati uccisi».
Tra loro le 8 vittime degli attacchi contro Charlie Hebdo in Francia, gli omicidi di Daphne Caruana Galizia a Malta nel 2017, di Jan Kuciak in Slovacchia nel 2018 e, nel 2021, di Giorgios Karaivaz in Grecia e Peter De Vries in Olanda.
«Gli omicidi di Daphne, Jan, Giorgios e Peter restano ad oggi impuniti - ha ricordato Deloire - mentre i mandanti sono ancora in libertà. Lo stesso accade in altre parti del mondo, dove il brutale assassinio di Jamal Khashoggi nel 2018 o l'assassinio di Anna Politkovskaja in Russia nel 2006 restano impuniti».