Le registrazioni - in mano ai magistrati che indagano sugli eccidi di Bucha - raccontano il dramma e la miseria umana dei soldati al fronte.
BUCHA - Tutto parte dalle circa due mila telefonate fatte dai soldati russi, lo scorso marzo, dall'Ucraina alle loro famiglie. Sono le conversazioni intercettate e già in mano ai magistrati di Kiev, che indagano sul massacro di Bucha.
Le promesse di Putin - Le registrazioni raccontano di soldati che scelgono di combattere per motivi economici, convinti dal main stream governativo, che prometteva loro un glorioso rientro in patria come liberatori dell'Ucraina dal nazismo. Il tutto senza spargimento di sangue.
Le conversazioni dall'Ucraina - Come spesso accade, è alle madri che i giovani militari confidano paure e dolori. Raccontano gli orrori, come le orecchie mozzate al giovane ucraino, l'ansia per il fischio dei razzi o per il silenzio che precede l'esplosione. E ancora, i corpi straziati dei compagni, di cui ben poco tornerà a casa. Dall'altra parte del filo, le raccomandazioni dei familiari di richiamare presto, di non bere troppo.
Tre audio, tre personali storie di guerra - raccolte e raccontate da Associated Press, in collaborazione con il portale investigativo Reveal - verranno trasmesse domani negli Usa. I nomi dei soldati intercettati al telefono sono immaginari per proteggere le loro famiglie. Tra di loro c'è il racconto di Ivan, giovane soldato russo.
La madre di Ivan - I giornalisti americani riescono a contattare la madre di Ivan, 19 anni, bloccato con i suoi compagni nei pressi di Bucha. «Non ero pronta all'idea di sapere mio figlio in guerra - racconta la donna ad AP - Ma lui mi ha detto"ho la coscienza a posto, hanno sparato loro per primi"». La donna difende il figlio, non crede a un suo coinvolgimento nella strage di civili. Quanto alle intercettazioni, che vedono il figlio ammettere alcune responsabilità dei suoi, la donna è categorica: «Non è possibile. Non ha ucciso innocenti».
Il racconto dei combattimenti e la pietà - Ivan racconta al telefono di quando - dopo essere entrato in Ucraina dalla Bielorussia, il 24 febbraio scorso - con la sua unità ha annientato i soldati nemici al confine. «Il comandante ci ha detto che eravamo obbligati a passare ad ogni costo. Che altrimenti saremmo stati fucilati». «Abbiamo sparato con fucili e mitragliatrici dai carri armati. C'erano cadaveri che bruciavano. Abbiamo vinto». Poi un accenno di pietà. «Avevano forse diciotto o diciannove anni, erano sdraiati a terra. Non sono diverso da loro».
Le tempistiche si allungano, si ruba - Il soldato, negli audio, conferma che il progetto era di arrivare a Kiev in una settimana, senza combattere. Invece all'altezza di Chernobyl vengono raggiunti dal fuoco ucraino. Mancano mappe per orientarsi e i cartelli stradali sono stati tolti. «Ero confuso».
Al telefono parla dei tempi della missione che si allungano, della mancanza di rifornimento e della necessità di rubare: soldi, scarpe. Nelle intercettazioni emerge che i soldati ricevono anche delle richieste di "souvenir dal fronte": appaiono orgogliosi di poter tornare a casa con qualche regalo.
La mamma di Ivan è incredula. «Non state rubando vero? Non entri nelle case altrui?». Ivan: «Certo che lo facciamo, prendiamo da mangiare, biancheria, cuscini e coperte» E l'elenco continua con forchette, piatti, pentole.
La paura durante i pattugliamenti - ll 19enne racconta della paura durante la pattuglia. Accenna alla necessità di dover sparare al primo accenno di pericolo. Ma la donna non crede che i russi possano uccidere civili. Ivan però le spiega che Putin aveva detto loro che sarebbero stati accolti da liberatori ma che è ben diversa la realtà lì.
I civili uccisi - E poi i morti lungo le strade e le ammissioni: «Sono quelli uccisi dal nostro esercito». «Ma forse si trattava di persone pacifiche?», chiede la donna. Ivan: «Un ragazzo era saltato fuori con un lanciagranate... Un altro è stato fermato e nel telefono aveva tutte informazioni su di noi: lo hanno ucciso sul posto, aveva 17 anni». «A un prigioniero di diciotto anni hanno sparato a una gamba, gli hanno tagliato le orecchie. E dopo che ha raccontato tutto è stato ucciso». La donna, dall'altra parte del filo, non parla più.
Tra le conversazioni registrate, Ivan racconta infine di avere rischiato di morire cinque volte. Alla fidanzata confida d'invidiare i feriti che tornano a casa. Tra i suoi commilitoni c'è chi si spara alla coscia per ottenere un congedo medico: «Una pallottola nel piede e sei a casa per quattro mesi con le stampelle». La madre si raccomanda: «Tu non farlo. Preghiamo tutti per te».
Ivan è tornato a casa sua a maggio, dopo essere stato gravemente ferito.