Dentro i campi di rieducazione cinese, con cui il governo afferma di combattere radicalizzazione e terrorismo
PECHINO - Migliaia di volti. Seri, in lacrime, spaventati. Nessuno sorride. Una sola radice comune, che secondo Pechino va «estirpata». Sono uiguri e musulmani, ritenuti «radicali». Rinchiusi in campi di rieducazione per dieci anni anche per aver letto con la nonna qualche pagina del Corano.
Per anni rapporti e indagini di numerose organizzazioni non governative internazionali hanno cercato di raccontare e provare ciò che succede nella regione cinese dello Xinjiang. Diversi testimoni e fuggitivi sono stati sentiti, ma finora è sempre risultato impossibile ottenere documenti ufficiali.
Xinjiang Police Files - Ora, mentre l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Michelle Bachelet cerca di ottenere il permesso per poter visitare i luoghi senza alcuna restrizione, sono stati pubblicati gli Xinjiang Police Files, che contengono 2'884 foto identificative, più di 23mila dati sulle detenzioni, oltre 300mila informazioni personali dei cittadini e più di 10 direttive dei campi di detenzione.
Ufficialmente Pechino sostiene di combattere estremismo e terrorismo, ma i documenti trapelati e verificati da 14 testate internazionali, ricercatori, esperti e persone che hanno riconosciuto i loro parenti, rivelano tutt'altro.
Come tutto è cominciato - Per diversi decenni tra il governo cinese e alcune minoranze all'interno della popolazione non è corso buon sangue. Ma, nonostante questo, Pechino non era mai andata oltre un certo grado di sorveglianza.
Poi nel 2013 e nel 2014 si sono verificati due attacchi mortali nei confronti degli abitanti della capitale. E Pechino ha attribuito la colpa ai separatisti uiguri e mussulmani radicali. Con questo pretesto, nel giro di pochi anni, sono sorti centinaia di campi di rieducazione. Lo scopo, appunto, combattere la radicalizzazione e l'estremismo. Ma in pochi anni, i detenuti sono saliti 25mila, pari al 12% della popolazione dello Xinjiang.
Richiusi senza processo - I crimini per cui i cittadini sono condannati vengono riportati in modo generico. C'è chi per dei «litigi» o «disturbi all'ordine sociale» o ancora «per aver fatto crescere la barba per motivi religiosi» deve restare in un campo di rieducazione per 5, 10 o 25 anni.
Le condanne arrivano anche decenni dopo i fatti: c'è un uomo, ad esempio, che per aver letto nel 2010 in compagnia della propria nonna alcune pagine del Corano sta ora scontando una pena di dieci anni.
Foto scattate all'interno dei campi mostrano le guardie armate di bastone e i detenuti con catene intorno a collo, polsi e caviglie. Inoltre, il protocollo permette alle guardie di sparare a chiunque tenti la fuga. «Sulle torri di controllo sono installate mitragliatrici e fucili di precisione».
Senza discriminazione di età - Nel 2018 la più giovane detenuta aveva 15 anni. Ma non si deve per forza essere stati rinchiusi nei campi, per apparire nell'archivio che si rifà a dati della prima metà del 2018. Chi non è detenuto viene comunque fotografato.
Nei documenti si possono trovare anche gli scatti di bambini di sei anni. Secondo il rapporto, le persone possono essere chiamate a presentarsi in polizia anche nel bel mezzo della notte.
Pechino risponde - Nel 2018, riporta Afp, il governo cinese affermava che con i campi di rieducazione intendeva «spezzare le radici, il lignaggio, le connessioni e le origini» dei detenuti. Ora, interpellato dalla Bbc, non risponde per via diretta, ma attraverso una nota dell'ambasciata cinese a Washington.
«Le questioni relative allo Xinjiang riguardano essenzialmente la lotta al terrorismo, la radicalizzazione e il separatismo, non i diritti umani o la religione. Grazie ai campi ora la regione gode di stabilità e armonia sociale, nonché di sviluppo economico».