L'ex premier israeliano Ehud Barak è convinto che Israele vincerà la sua guerra. Le incognite riguardano il futuro
TEL AVIV - I cosiddetti accordi di Abramo hanno possibilità di sopravvivere alla guerra in corso tra Israele e Hamas? «Lo spero. Prima saranno raggiunti i nostri obiettivi, meno saranno le vittime civili e più saranno alte le possibilità». È il pensiero dell'ex generale e premier israeliano Ehud Barak, intervistato da Foreign Policy.
Barak, oggi 81enne, ha preso parte sia alla "guerra dei sei giorni" del 1967 che a quella dello Yom Kippur nel 1973. E afferma che l'esercito israeliano è «determinato» nel voler sradicare l'infrastruttura di Hamas da Gaza. «Saranno distrutti un pezzo alla volta»; «ci costerà fatica, sudore, lacrime e sangue», avverte l'ex premier, «ma sarà fatto. Hamas non può rappresentare una minaccia esistenziale per Israele». In termini numerici, «probabilmente occorrerà impiegare 50mila o più soldati per essere certi di vincere».
Le vere incognite sono semmai concentrate sul dopo. Cosa succederà a Gaza dopo la guerra? Anche Barak se lo chiede. «Anche se raggiungiamo l'obiettivo di rimuovere le infrastrutture di Hamas, e quindi la loro capacità di governare nella Striscia di Gaza, non vogliamo restare lì per i prossimi 10 o 20 anni, quindi chi raccoglierà la torcia da noi?». E il cosiddetto "giorno dopo" potrebbe non essere così distante, anche se il governo di Tel Aviv e le Forze di difesa israeliane non perdono occasione per ribadire che la guerra sarà lunga. In Israele, ricorda Barak, l'idea di guerra «è mentalmente collegata a un periodo di tempo molto breve. La guerra dei sei giorni è durata una settimana, la guerra del 1973 - la più dura che abbiamo affrontato in 75 anni di storia - venti giorni».