Senza un suo passo indietro, è altamente improbabile che il partito Democratico possa cambiare candidato: i possibili scenari
WASHINGTON - I (chiamiamoli) colpi di sonno del presidente americano, Joe Biden, non lasciano dormire sonni sereni al suo partito. Quello che è in questi giorni il probabile stato d'animo tra i democratici, dopo la rovinosa performance nel dibattito della scorsa settimana, è stato cristallizzato con brutale franchezza dal Time nella copertina (anticipata) della sua prossima edizione: l'uomo più potente della terra che cammina, solo, uscendo dalla cornice su sfondo rosso della rivista, con un piede già fuori dalla pagina. E una sola parola: Panico.
All'elezione del prossimo inquilino della Casa Bianca - la cosiddetta "election night" è fissata al 5 novembre - mancano poco più di quattro mesi. E se alla domanda "se non Biden, chi?", abbiamo già tentato di abbozzare le possibili risposte, proviamo ora a capire - fermo restando che, al momento, il commander-in-chief americano uscente pare intenzionato a portare fino in fondo la sua candidatura - come tutto questo potrebbe accadere.
Perché, è scontato ma vale la pena sottolinearlo, un pulsante per rimpiazzare in automatico la candidatura di Biden con quella di un altro o un'altra non esiste. Il presidente uscente, durante le primarie e i caucus dell'asinello di Stato in Stato, ha raccolto l'87% dei voti, mettendosi in tasca la quasi totalità (3'894 su 3'949) dei delegati. Ergo, se Joe Biden decide di restare in sella fino al 5 novembre, c'è poco, molto poco, che il partito Democratico possa fare.
Se Biden fa un passo indietro...
Se invece fosse lui stesso a decidere per un - improbabile - passo indietro, questo potrebbe avvenire prima o dopo la convention nazionale democratica che si terrà, a Chicago, dal 19 al 22 agosto. Chiamarsi fuori dalla corsa prima che la nomination maturi durante la convention consentirebbe ai delegati di appoggiare un nuovo candidato. Quale? Dipenderà da quanto previsto dalle leggi di ogni singolo Stato. Oppure, Biden potrebbe rifiutare la nomination "virtuale" che i delegati gli riconosceranno prima della convention, in ossequio alla scadenza prevista da una particolare legge in vigore nell'Ohio.
Questa opzione renderebbe così la convention nazionale "aperta" alla selezione di una nuova candidatura. La convention è, in ogni caso, il solo momento in cui il partito può tentare di "ribellarsi" alle aspettative. Perché l'impegno da parte dei delegati è, appunto, da considerarsi come un'aspettativa, per quanto forte, e non come un obbligo, legalmente parlando. Ai delegati, regolamento alla mano, viene chiesto - ed è questo l'appiglio - di «riflettere in buona coscienza sui sentimenti di coloro che lo hanno eletto». E anche in questo senso, i precedenti storici sono tutti a favore del presidente uscente. Detto altrimenti: è un'eventualità che appare assai improbabile.
A giochi fatti, quindi dopo la convention, solo un ripensamento da parte di Biden potrebbe cambiare le cose. Anche in questo caso ci viene in aiuto il regolamento, che prevede che «nel caso di morte, ritiro o incapacità» di un candidato nominato, si attivi - per «colmare il vuoto» - una catena che va dal presidente della convention nazionale, alla leadership democratica al Congresso, ai governatori democratici, per finire al comitato nazionale del partito.
Infine, sempre restando nella terra delle ipotesi, va considerata anche la possibilità che Biden corra per la Casa Bianca, vinca l'elezione e poi decida di rinunciare all'incarico (o che risulti inabile a svolgere la sua funzione). In quel caso - in virtù di quegli automatismi stabiliti dal XX emendamento della Costituzione degli Stati Uniti - sarà il vice presidente eletto a prendere il suo posto.