Marco Noi, Deputato Gran Consiglio, Verdi del Ticino
Nell’ultima seduta di Gran Consiglio si è discusso e votato sul credito per i cosiddetti casi di rigore. Si tratta di un sostegno alle aziende elargito a fondo perso o attraverso fideiussioni per i danni economici dovuti alle limitazioni imposte dallo Stato a causa della pandemia.
Per persone che hanno dichiarato fedeltà alla Costituzione e alle Leggi, non può non aver fatto riflettere il dibattito avvenuto sull’emendamento proposto da Più Donne per vincolare la concessione di questi aiuti alla semplice autocertificazione di avere nella propria azienda la parità salariale tra uomo e donna.
Perché per un’ampia maggioranza parlamentare è stato inconcepibile chiedere alle aziende che dichiarassero di praticare la parità salariale, iscritta nella Costituzione, al fine di avere gli aiuti? La risposta non può purtroppo che essere una sola. La disuguaglianza salariale è ancora troppo diffusa, per cui molte aziende avrebbero dovuto rinunciare ai sostegni finanziari (a meno di mettersi in regola proprio per poterli avere) oppure arrischiarsi a dichiarare il falso per poterli percepire. Ritenendo dunque che le “aziende ladre” sono ancora “too much to fail” (troppe per poter fallire), la maggioranza parlamentare con la benedizione del Consiglio di Stato, ha così scelto di bocciare l’emendamento, chiudendo gli occhi davanti a una palese ingiustizia, considerata un’illegalità “tutto sommato marginale”.
Questa è la cultura dell’eccellenza e dell’innovazione che vogliamo promuovere? Una cultura che legittima l’illegalità, l’ipocrita indulgenza, l’opacità e l’abdicazione dal senso di responsabilità?
“Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”, è assolutamente il caso … di rigore.
Ben vengano allora quelle determinate e coraggiose coscienze dentro ogni singola persona e dentro ogni gruppo che, dandosi voce, insorgono e sanno emergere dal rumore di fondo del conformismo, per mettere finalmente in crisi la cultura della mediocrità e dell’ingiustizia. Ben vengano allora quelle voci che rivendicano dignità ed equità, andando a cercarsi con tenacia il proprio legittimo valore e il proprio appagamento. Queste sono le voci delle donne, certo, ma sono anche le voci dei giovani per il clima, degli operai delle officine, delle aziende virtuose, degli ecosistemi, di operose Ong, dei migranti, degli attori della cultura e via dicendo. Tutte voci di parti vulnerabili che pagano gli sconti o gli aiuti concessi ai presunti produttori di ricchezza, non sono più disposte a subire.
La speranza è che queste voci possano contagiare altre coscienze (e di questo contagio ne abbiamo ancora bisogno), per arrivare a trasformare la nostra cultura, affinché non ci si accontenti di perpetuare la mediocrità, il sopruso e l’iniquità, ma si scelga quell’altro mondo possibile rispettoso del valore umano e dell’ambiente in cui viviamo.