La scelta di spostare il campionato è arrivata – probabilmente – su pressione dei rappresentati delle grandi leghe.
Arno Rossini: «Diritti tv, botteghino... rischiava di saltare tutto il sistema calcio. Così la UEFA non perderà un affare da 500'000'000»
NYON – L'epidemia da coronavirus che ha investito il Vecchio Continente non ha lasciato scelta ad Aleksander Ceferin il quale, dopo settimane convulse, ha deciso di gettare la spugna e cancellare l'Europeo 2020. Durante una conference call piuttosto rumorosa, il massimo dirigente della UEFA e i suoi collaboratori hanno accettato di rimandare di dodici mesi la manifestazione “per superare definitivamente il problema, garantendo la massima sicurezza a giocatori, addetti ai lavori e tifosi”.
Mettere la salute davanti a tutto: gesto obbligato ma comunque lodevole. Così facendo, nella stanza dei bottoni della Federazione continentale hanno dimostrato di avere un cuore. È tuttavia probabile che non abbiano deciso con quello. È stato il borsellino a “pesare” di più.
«Senza ombra di dubbio – ha sottolineato Arno Rossini – alla fine, a far prendere la strada del rinvio è stata la motivazione economica. E anche in maniera preponderante».
Che la salute venga prima di tutto...
«È chiaro e indiscutibile. Ed è su quello – sul fatto che la sicurezza delle persone che avrebbero partecipato al campionato non sarebbe stata garantita – che la UEFA punterà per spiegare il cambiamento. La realtà è però che, semplicemente, sono stati fatti dei conti e questi hanno detto che il rinvio era la soluzione più conveniente».
Per garantire la presenza dei tifosi?
«Per esempio. Si fosse giocato quest'estate – fatto comunque non certo perché non si sa quando davvero quest'emergenza sarà finita - qualche Paese avrebbe anche potuto imporre dei match a porte chiuse. Sarebbe stato tremendo per gli incassi, la credibilità e la visibilità della Federazione. Quindi perché rischiare? Meglio spostare tutto di dodici mesi. Tanto più che in questo momento l'idea comune era quella che non si potesse giocare».
Domanda provocatoria: può essere che la “scelta” di Ceferin e soci sia arrivata su spinta dei rappresentanti delle maggiori leghe europee?
«Per garantire la chiusura della stagione ora interrotta? Anche qui non ci sarà mai la certezza; il sospetto che sia andata così è però grandissimo. D'altronde concludere i campionati è vitale per il sistema calcio».
In vista della prossima stagione?
«No, stiamo sempre parlando di denaro. Penso ai diritti tv, per esempio, che insieme al botteghino sono una voce importante nei bilanci dei club. Portare a compimento il percorso cominciato la scorsa estate, a livello nazionale come anche e soprattutto per le coppe europee, è fondamentale per evitare di perdere tanti, tanti, tanti soldi. Da qui la probabile pressione delle grandi società, delle grandi leghe, per non perdere nemmeno una partita a costo di giocare in estate. La UEFA si è trovata in una posizione scomoda».
Di chi ha le spalle al muro?
«Di chi non può permettersi di rifiutare una richiesta per non veder saltare tutto il sistema calcio. Stoppando la stagione per far disputare l'Europeo, la Federazione avrebbe messo in difficoltà molti club, rischiando di farli sprofondare tra i debiti. E far fallire delle società, magari anche importanti, non sarebbe stato conveniente per alcuno».
Vincono i club, insomma?
«Ma anche le federazioni nazionali. Giocare un Campionato continentale – in che condizioni poi – magari senza tifosi sarebbe stato economicamente poco intelligente. Meno supporter, meno soldi, l'indotto che soffre... Il 2021, sperando che il coronavirus a quel punto sia superato, può invece far felici tutti quanti. La UEFA non perderà un affare da 500 milioni di euro e i tifosi saranno affamatissimi di pallone dopo il lungo digiuno. L'edizione del prossimo anno potrebbe essere un successone».