Arno Rossini: «Spazi e soldi, così è cambiato questo sport».
«Fulvio esemplare. Con lui il mondo del pallone sarebbe più ricco».
LUGANO - Bellissimo, godibilissimo, emozionantissimo, luccicantissimo, ricchissimo. Nell’immaginario comune il calcio è descritto solo con superlativi assoluti. Tutti positivi.
In realtà, gli scintillanti 90’ di partita che tutti conosciamo sono, spesso, solo fumo negli occhi. “Coprono” infatti un mondo che sa generare sensazioni sgradevoli. Anche spiacevoli.
Che il pallone, con quello che gli ruota attorno, non sia solo gioia lo ha raccontato senza nascondersi, in un libro intenso, Fulvio Sulmoni. Che il pallone, con quello che gli ruota attorno, non sia solo divertimento lo ha - nuovamente - mostrato la “vicenda-Suarez”.
«Fulvio è una persona splendida - ci ha interrotti Arno Rossini - È un uomo vero, uno di quelli, dei pochi, che ha il coraggio di dire quello che non va. Per come la vedo io, chiusa la carriera da giocatore dovrebbe rimanere nel calcio. Sarebbe solo un guadagno».
Il guadagno sarebbe per Sulmoni?
«No, per il mondo del pallone in generale. Sarebbe più ricco. Sono sicuro che Fulvio saprebbe trasmettere messaggi positivi e potrebbe aiutare più di un giovane a non perdersi. Nella sua carriera, nella sua vita, ha affrontato e superato grandi difficoltà. E poi, facendo sacrifici, allo sport ha saputo affiancare un percorso di studi. E grazie a quello ora ha un lavoro normale. Sarebbe insomma di certo un bell’esempio».
L’altra faccia della stessa medaglia riguarda Luis Suarez al quale, in maniera fraudolenta, è stato permesso di passare un esame necessario per ottenere la cittadinanza italiana. Interessi, pressioni, quattrini...
«Quella vicenda è qualcosa di vomitevole. È una truffa. Per quanto goffa, se non si considerassero invece le difficoltà affrontate dalle persone “normali” per ottenere quel documento, potremmo addirittura riderci su. Invece è drammaticamente seria e fa ben capire il livello, infimo, che può essere a volte toccato nel calcio».
Qualcuno, per quella vicenda, pagherà.
«Ma vedrete, alla fine nella rete rimarranno solo i pesci piccoli. Non dirigenti d’azienda, agenti o quant’altro: solo qualche burocrate che ha eseguito degli ordini».
Tra partite vendute o aggiustate, passaporti falsi, furti al fisco e molto altro, negli anni il pallone ha spesso costretto a turarsi il naso. Ci sarà fine al peggio?
«Gli scandali continueranno, temo non ci sia scampo. Non mi immagino questo sport fare dei passi indietro e diventare solo divertimento e gioia».
Perché questo era in passato?
«Le macchie, chiamiamole così, sono aumentate recentemente».
Sei stato un bimbo sognatore, un calciatore professionista, un allenatore e anche un formatore. Nella tua vita dedicata al calcio quando, a tuo parere, è cambiato tutto?
«Difficile individuare un momento preciso. La pressione, anche grande, e le aspettative c’erano pure quando ero giocatore. Imbrogli se ne sono sempre visti. Se devo però pensare a una svolta, mi vengono in mente due aspetti, uno legato agli spazi e un altro, ovviamente, ai soldi. Questi ultimi hanno modificato nettamente l’immagine del calciatore. Da un certo punto in avanti, dalla seconda metà degli anni ‘90, i professionisti europei hanno cominciato davvero ad arricchirsi. E per i giovani il pallone ha smesso di essere un gioco, trasformandosi in un mezzo per accumulare ricchezze. Il primo obiettivo è diventato il guadagno. A tutti i costi. Potete capire che se l’approccio è questo, trasparenza e onestà passano in secondo piano».
Gli spazi invece?
«Oratori, campi aperti, cortili… Quella era la vera palestra. Quello era il vero allenamento, che serviva per sfogarsi, per giocare e nel quale contava prima di tutto il divertimento».
Ora ci sono le strutture organizzate.
«La risposta tipo di molti dei ragazzi di oggi dopo un allenamento è “ho vinto” oppure “ho perso”. Dovrebbe essere “mi sono divertito”...».