Paolo Jarre - terapeuta di Fagioli - ha "fotografato" il contesto in cui si trovano molti giovani calciatori
«Sono ragazzi che molto spesso non hanno gli strumenti per affrontare certe tentazioni».
TORINO - In Italia la sosta per le nazionali è stata "disturbata" (per usare un eufemismo...) dal caso calcioscommesse. Nella giornata di martedì la Procura federale ha emesso una prima sentenza (dopo patteggiamento), andando a infliggere sette mesi di squalifica a Nicolò Fagioli, a cui ne vanno aggiunti cinque dedicati a un percorso riabilitativo, oltre che una multa di 12'500 euro.
Ma cosa spinge alcuni calciatori a "buttarsi" nel gioco d'azzardo? Intervenuto a "La Stampa" Paolo Jarre - terapeuta di Fagioli e direttore del Dipartimento di patologia delle dipendenze dell’Asl Torino 3 - ha fornito la sua spiegazione. «Parliamo di giovani con parecchia disponibilità economica e contemporaneamente con un’attitudine al risparmio e all’uso oculato del denaro molto limitata. I fattori di rischio sono molti. Sicuramente i soldi e un livello d’istruzione medio basso. Poi c’è un altro aspetto: il loro mondo li pone in una situazione di prossimità con le scommesse sportive. Se ne parla continuamente. E sono ragazzi che molto spesso non hanno gli strumenti per affrontare certe tentazioni. I più sono andati via di casa giovanissimi, affidati alle strutture delle società sportive che, va da sé, non hanno la valenza educativa paragonabile a quella di una famiglia».
Una scommessa oggi, due domani, dieci dopodomani. Ed è così che si mette in moto un circolo difficile da fermare... «Le sommesse? A livello psicologico e neurologico accade qualcosa di sovrapponibile al consumo di droga. Cercano la gratificazione forte, immediata».