Zurigo, Zugo, Davos, Ginevra e Bienne ai nastri di partenza di una competizione incerta.
«Fondamentale, con la pandemia, sarà capire come muoversi tra tredici Stati diversi».
ZUGO - Il sorteggio di domani disegnerà ufficialmente la Champions Hockey League 2020/2021, competizione che però, a oggi, è ancora avvolta da una fitta nebbia. Lo show che stabilirà i 16esimi di finale e che deciderà il cammino di cinque squadre svizzere (Zurigo, Zugo, Davos, Ginevra e Bienne) non regalerà infatti alcuna certezza a un torneo il cui inizio è fissato - solo per il momento - a metà ottobre.
«Vogliamo partire il 6 ottobre - ha specificato Monika Reinhard, Direttore della comunicazione della CHL - ma in realtà siamo molto flessibili. Con il nuovo format potremmo anche permetterci di cominciare a novembre. Aspettiamo di capire come evolverà la pandemia e quali limitazioni ci saranno e poi decideremo».
Fondamentale sarà non avere partite a porte chiuse?
«No, fondamentale sarà capire come muoversi tra tredici Stati diversi, come regolarsi con i regolamenti di tredici Governi diversi. Cruciale sarà garantire a tutti i team la libertà di viaggiare senza problemi da una pista all’altra. E questo non sarà scontato. Gli spettatori sono importantissimi, saremmo felici se potessero essere parte dello spettacolo, ma non indispensabili: al momento siamo concentrati sulle squadre, sui giocatori».
Con leggi e ordinanze diverse, potrebbe essere una soluzione quella di far disputare l’intero torneo in un’unica Arena?
«Sarebbe difficilmente organizzabile. È in più nostra intenzione lottare fino alla fine affinché ogni club possa disputare in casa sua le partite che gli toccano».
La competizione è relativamente giovane. Un anno “sabbatico” sarebbe un problema?
«Sarebbe un danno enorme. Quella che deve partire è la settima edizione. Stiamo crescendo ma ancora molto si deve fare prima di arrivare a un "consolidamento". Riuscire ad assegnare la Coppa nel 2021 è cruciale: nel caso in cui fossimo costretti a fermarci, il lavoro fin qui fatto per farci conoscere e apprezzare andrebbe infatti quasi totalmente perso».