Salvatore Guarino, oggi al Collina d'Oro, non dimentica i suoi anni in bianconero: «Il migliore periodo della mia carriera».
Oltre a Lugano e Chiasso, il 34enne ha vestito - fra le altre - la maglia del Bellinzona per quattro anni fra il 2017 e il 2021.
COLLINA D'ORO - Salvatore Guarino è uno degli artefici della promozione del Lugano strappata nel maggio del 2015. Nella penultima giornata di campionato, quella che schiuse definitivamente le porte verso l'élite del calcio elvetico ai bianconeri, ci fu anche la sua firma nel famoso 2-0 di Bienne. «Me lo ricordo come se fosse successo adesso, era il gol dell'1-0. Appena ho stoppato la palla sapevo già dove volevo che andasse. Ed è proprio lì che l'avevo piazzata...», ha detto proprio Guarino, che l'anno scorso ha centrato l'ascesa in Promotion League con il Paradiso prima di trasferirsi al Collina d'Oro.
Quasi dieci anni sono passati...
«Quel periodo è stato senza dubbio il migliore. Le ultime sette/otto partite della stagione 2014/15 le ho ancora tutte in testa e sono state l'apice della mia carriera. Essere uno degli artefici della promozione della squadra in cui sono cresciuto è qualcosa di straordinario. Il classico sogno che hai sin da bambino».
Il presente, invece, dice Collina d'Oro: nel campionato di Seconda Interregionale guardate tutti dall'alto con otto punti di margine sul Locarno...
«Bè, che dire? La stagione sta andando bene e, arrivati a questo punto, l'obiettivo è quello di mantenere un certo cuscinetto di sicurezza dalle inseguitrici. Penso che possiamo ritenerci soddisfatti perché oggi è tutto nelle nostre mani».
Oltre a te, là davanti ci sono Gaston Magnetti e Patrick Rossini... L'artiglieria è di quella pesante...
«In rosa abbiamo diversi giocatori che sono fuori categoria, nonostante l'età. Disponiamo sia dell'esperienza che della qualità per fare bene».
Fisicamente, come stai?
«La mia carriera è andata al contrario, se così si può dire. Ho avuto molti più infortuni prima dei 30 anni rispetto a oggi dove, tolto qualche acciacco, non posso proprio lamentarmi».
Da lavoro ad attività accessoria, com'è oggi il tuo rapporto con il calcio?
«Non è più al primo posto nei miei pensieri, ma lo è quando sono in campo. Sia che si tratti di partita o di allenamento cerco sempre di dare il massimo. Quello che è cambiato negli anni è che in settimana si arriva al campo con 9/10 ore di lavoro alle spalle... Ma non mi pesa, anzi».
Oggi di cosa ti occupi?
«Lavoro da cinque anni in una ditta di riciclaggio, presso la Fratelli Maffi. In ufficio sono responsabile dei servizi e mi occupo del sistema operativo. È impegnativo ma mi piace: c'è parecchio da fare ed è impossibile annoiarsi».
Tornando al pallone, il rimpianto di non aver mai giocato in Super League ce l'hai? Come mai con Zeman non "funzionò"?
«Per un discorso prettamente tattico. Il gioco che Zeman voleva adottare a Lugano non combaciava con le mie caratteristiche. Lui preferiva chi giocava semplice, a due tocchi: probabilmente, nel pochissimo tempo in cui abbiamo lavorato insieme, (Guarino passò al Chiasso a inizio agosto, ndr), ha capito che non facevo al suo caso. I miei punti di forza sono la velocità e saltare l'uomo e a conferma di ciò vi erano i risultati dei test fisici, dove ero risultato uno dei migliori. Non mi volevo snaturare però, anche perché credo che quando a un giocatore si chiede qualcosa che non è nelle sue caratteristiche raramente funziona».
Ed è così che era maturata la decisione di andare a Chiasso...
«Esattamente. Sono andato a Chiasso, dove c'era una squadra ambiziosa, che puntava in alto. In panchina c'era Marco Schällibaum, colui che mi ha convinto a spostarmi al Riva IV. In quel periodo mi sentivo proprio in forma, avevo un ritmo da Super League secondo me. Dopo alcuni mesi però era arrivato Camolese e le cose non erano proseguite troppo bene a livello personale, sia per il discorso fatto per Zeman ma soprattutto a causa di due gravi infortuni».
Il fatto che alcuni allenatori non sempre abbiano apprezzato le tue qualità, ti ha fatto soffrire?
«No, da questo punto di vista non ho mai sofferto. Le pressioni e le critiche mi hanno sempre caricato. Ho cercato sempre di adattarmi agli allenatori con i quali ho lavorato, ma fino a un certo punto. Come detto prima, snaturare un giocatore penso che non sia positivo per nessuno... Non ho rimpianti e quello che potevo fare l'ho fatto».