Didier Sornette, professore all'ETH per la gestione dei rischi, deplora l'agire delle autorità svizzere.
«Il Consiglio federale ha voluto unicamente evitare i rischi giuridici e fornire risposte alle paure collettive, ignorando il piano elaborato nel 2018 dall'Ufsp».
BERNA - Di fronte alla pandemia Covid-19, le autorità in Svizzera, e ancora di più in altri paesi, hanno adottato «misure esagerate», dice il professore all'ETH Didier Sornette, specialista della gestione dei rischi. I costi dei provvedimenti, ad esempio a livello del mercato del lavoro, non hanno trovato adeguata considerazione.
«I politici, a mio avviso, hanno voluto unicamente evitare i rischi giuridici e fornire risposte alle paure collettive», dice, in un'intervista pubblicata oggi dal quotidiano romando Le Temps, il membro cofondatore del Risk Center al Politecnico federale di Zurigo (ETH).
Il fisico di formazione, ora detentore della cattedra di rischi imprenditoriali all'ETH, ribadisce quanto più volte da lui già sostenuto nei media durante la crisi. Come aveva fatto all'inizio di febbraio in un'intervista alla Neue Zürcher Zeitung, sottolinea ad esempio che la pandemia non è affatto un «cigno nero» ossia, secondo la teoria che porta questo nome, un evento improbabile a forte impatto.
«Sono stato scioccato dal fatto che l'Ufficio federale della sanità pubblica nel 2018 ha preparato un piano in caso di pandemia molto ben concepito e il Consiglio federale non abbia assolutamente fatto quanto vi è scritto». Il ricercatore, dall'inizio sostenitore del modello antipandemico svedese, è ancora più severo con Francia e Stati Uniti.
Ma la critica principale dello studioso - attivo soprattutto nell'ambito dei rischi in ambito finanziario ed energetico - non riguarda in particolare l'impreparazione di cui hanno dato prova le autorità. Il problema, a suo avviso, è infatti la mancanza di capacità nel gerarchizzare i rischi e nel misurare gli effetti delle decisioni prese.
In termini di vite umane, a livello globale, il mondo occidentale ha dato prova di un certo cinismo. La paralisi più o meno pronunciata dell'economia conduce a «una possibile perturbazione delle catene di approvvigionamento alimentare per 48 paesi che hanno bisogno dell'aiuto internazionale. Questa rottura dei trasferimenti dai paesi ricchi ai paesi poveri potrebbe comportare la morte di 200'000-300'000 persone al giorno, secondo l'Organizzazione mondiale della sanità. Tutto questo per salvare alcune migliaia o decine di migliaia di persone in un anno in Occidente».
Ma le perturbazioni del mercato del lavoro fanno male anche nei paesi industrializzati dato che si traducono in «sofferenze, depressioni e suicidi».
E quanto a pessima gerarchia dei mali, il 63enne, cresciuto e formatosi in Francia, ricorda che «i decessi dovuti all'inquinamento sono più numerosi di quelli provocati da Covid-19. Eppure non si blocca l'economia per l'inquinamento».
Misure esagerate - «Di fronte a un virus senza dubbio malvagio ma che condurrà probabilmente a una mortalità normale nel 2020, i governi hanno preso misure esagerate». L'équipe del ricercatore ha valutato il numero di vite salvate in funzione della severità dei provvedimenti adottati dalla politica. Lo studio, dice Sornette a Le Temps, arriva alla conclusione che, rafforzando il grado di confinamento da quello adottato in Svezia (che ha lasciato alla popolazione un ampio grado di libertà) a quello scelto in Francia (con un lockdown molto rigido), si salvano 50-100 vite per milione di abitanti. «Ogni vita è preziosa, ma l'autorità deve ponderare (i vari oneri) e attribuire un costo alla vita».
Confrontato all'apparente insuccesso del modello svedese, che ha comportato un numero di infezioni da coronavirus più elevato, colui che è stato anche professore all'università delle scienze e della tecnologia di Shanghai, afferma che le valutazioni sono premature. In termini di immunità di gregge, a bocce ferme, la scelta di Stoccolma potrebbe essere stata vincente.
Il ricercatore punta anche il dito contro media e reti sociali, che hanno giocato un «ruolo estremamente negativo». I secondi, in particolare, «amplificano considerevolmente l'universalità dell'evento e l'esagerazione della risposta».
Uno studio pubblicato la scorsa settimana dall'Istituto di ricerca di opinione pubblica e società (Fög) dell'università di Zurigo, per i media giunge ad altre conclusioni: la copertura della pandemia in Svizzera sarebbe stata «tendenzialmente positiva».