Un comitato interpartitico ritiene che l'iniziativa in votazione il 7 marzo sia «illiberale e inutile»
BERNA - Lo Stato non deve emanare prescrizioni in fatto di abbigliamento, come chiede l'iniziativa popolare anti-burqa in votazione il prossimo 7 marzo. Ne è convinto un comitato interpartitico - in cui figura anche l'ex consigliere nazionale UDC di Zurigo Claudio Zanetti - secondo cui questa proposta è contraria ai valori liberali della Svizzera, fomenta le tensioni sociali e pretende di risolvere un problema inesistente.
Stando una comunicato odierno, l'iniziativa volta a vietare la dissimulazione del viso finisce col mettere all'indice le donne di religione islamica, non contribuendo per nulla a migliorare la convivenza tra fedi diverse.
La proposta di modifica costituzionale è anche inutile, secondo il comitato in cui sono rappresentati i maggiori partiti, poiché nella Confederazione sono pochissime le donne che si velano completamente, ossia indossano un burqa o il niqab.
Stando a uno studio recente, sono soprattutto le turiste provenienti dai paesi arabi a coprirsi il volto, mentre nel nostro paese le donne che lo fanno sono stimate in 20-30. La maggioranza delle persone che si coprono il viso da noi sono cresciute nella cultura occidentale e portano il velo per convinzione. Non sono quindi, come pretendono i promotori dell'iniziativa, l'avanguardia di un islamismo arrembante.
Degli 8,5 milioni di abitanti censiti in Svizzera, circa 400'000 professano l'islam. Stando al comitato, nessuna donna che si sentisse veramente oppressa verrebbe aiutata dall'iniziativa. Per questo la proposta di modifica costituzionale, senz'altro populista, mira solo a suscitare timori nella popolazione.
Stando al comitato, le leggi in vigore bastano già per proteggere le donne costrette a indossare determinati articoli d'abbigliamento: costringere una donna a portare un burqa o un niqab prefigura il reato di coercizione. Tra l'altro, negli aeroporti o alle dogane le donne velate possono essere obbligate a identificarsi. Si tratta esattamente di quanto propone il controprogetto indiretto accolta dal parlamento.
Vi è poi un altro argomento, secondo gli avversari dell'iniziativa, che dovrebbe far riflettere: il divieto del velo colpirebbe soprattutto le turiste, in particolare provenienti dai paesi arabi. Sarebbe controproducente colpire un settore, come quello del turismo, già messo alle strette dalla pandemia di coronavirus.
L'iniziativa - L'iniziativa popolare anti-burqa - "Sì al divieto di dissimulare il proprio viso" - è stata lanciata dal comitato di Egerkingen, già all'origine dell'iniziativa antiminareti, e da esponenti di diverse forze politiche come UDC, Giovani UDC, PLR e Unione democratica federale (UDF).
Stando al comitato di Egerkingen, chador, niqab e burqa rappresentano l'islam politico, la cui volontà di proselitismo si realizza anche nell'obbligo per le donne di coprirsi, tutti fenomeni in contraddizione con i valori di libertà e autodeterminazione della nostra società.
Il testo chiede che nessuno in Svizzera possa dissimulare il proprio viso. La disposizione si applicherebbe in tutti i luoghi accessibili al pubblico e all'aria aperta. Eccezioni sarebbero possibili soltanto nei luoghi di culto o in altri luoghi sacri, nonché per motivi inerenti alla salute, alla sicurezza, alle condizioni climatiche e alle usanze locali. Ulteriori eccezioni, ad esempio per turiste velate, sarebbero escluse.
A livello cantonale, Ticino e San Gallo hanno già introdotto tale divieto, mentre altri Cantoni - ad esempio Glarona - hanno respinto l'idea. Il testo, che ha raccolto 105'533 firma valide, è stato depositato nel settembre 2017. Consiglio federale e Parlamento raccomandano di respingere l'iniziativa alle urne. È stato inoltre elaborato un controprogetto indiretto per lasciar maggior margine di manovra ai Cantoni.