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SVIZZERACartelloni vandalizzati, sì alla prova del DNA

14.01.22 - 12:07
Lo ha stabilito il Tribunale federale dando ragione al Tribunale cantonale vodese. Il caso in esame risale a maggio 2021
Depositphotos (archivio)
Fonte ats
Cartelloni vandalizzati, sì alla prova del DNA
Lo ha stabilito il Tribunale federale dando ragione al Tribunale cantonale vodese. Il caso in esame risale a maggio 2021

LOSANNA - Non è sproporzionato allestire un profilo del DNA per chiarire le responsabilità di una persona sospettata di aver danneggiato una serie di affissi pubblicitari. Lo ha stabilito il Tribunale federale.

Il caso riguarda una persona accusata di aver rotto il vetro di cinque cartelloni pubblicitari presso Losanna nella notte tra il 4 e il 5 maggio 2021, in compagnia di un complice poi fuggito. Al momento del fermo, l'uomo indossava la giacca alla rovescia e guanti da giardinaggio. Nella sua tasca è stato trovato un passamontagna. Non ha mai collaborato all'inchiesta.

Tenendo conto del fatto che tra l'inizio del 2021 e il momento del fermo erano state vandalizzati 161 affissi per danni complessivi di 128'000 franchi, il ministero pubblico ha ordinato l'allestimento del profilo DNA dell'imputato.

Questi si è opposto ritenendo tale misura sproporzionata, oltre che lesiva dei suoi diritti fondamentali. L'uomo denunciava anche il ricorso sistematico a tale provvedimento da parte delle autorità vodesi.

In una sentenza pubblicata oggi, il TF ricorda i principi che regolano il profilo del DNA. Questa misura può essere ordinata per chiarire uno specifico reato, ma anche infrazioni passate o addirittura ancora sconosciute dalla giustizia. Un forte sospetto deve gravare sull'imputato e l'obiettivo perseguito non deve poter essere raggiunto con mezzi meno invasivi. Infine, la profilazione deve essere giustificata dalla gravità dei fatti.

Nel caso specifico, secondo il TF, il Tribunale cantonale vodese ha agito correttamente autorizzando il profilo DNA visto l'abbigliamento e l'atteggiamento dell'imputato, la sua mancanza di collaborazione e l'ondata di danni ancora irrisolti. Per i giudici di Mon Repos «il comportamento del ricorrente rendeva seriamente plausibile il suo coinvolgimento in alcuni dei 161 casi di depredazione».

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