A tu per tu con Ignazio Cassis: il presidente della Confederazione ha risposto alle domande dei lettori di 20 Minuten
BERNA - Neutralità, sanzioni e buoni uffici della Svizzera. Sono questi i temi d’attualità in seno al Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), diretto da Ignazio Cassis. Oggi il consigliere federale ticinese - che quest’anno è anche presidente della Confederazione e ha traghettato la Confederazione da una crisi (la pandemia) a un'altra (la guerra in Ucraina) - ha risposto alle domande dei lettori di 20 Minuten. Ve ne proponiamo una selezione.
In Ucraina è in corso una guerra. Come si informa su quello che sta accadendo?
«Attraverso diversi canali. I più importanti sono il Servizio delle attività informative della Confederazione e gli ambasciatori che mi mandano dei brevi telegrammi. Mi informo anche attraverso i media e confrontandomi, una volta alla settimana, con gli altri membri del Consiglio federale».
Viene informato anche di notte su quanto accade nel mondo?
«Sì, quando lo scorso 24 febbraio è iniziata la guerra in Ucraina, sono stato chiamato alle quattro del mattino. Non posso mai spegnere il mio smartphone».
La scorsa settimana una commissione governativa americana ha criticato il nostro paese, affermando che la Svizzera «è un rifugio sicuro per Putin e i suoi compari». Come ha reagito a tali accuse?
«Ho contattato il segretario di Stato americano, Antony Blinken. Mi ha confermato che non si tratta di una posizione formale degli Stati Uniti. Ha speso parole positive nei confronti del nostro paese. I nostri rapporti sono intatti».
Secondo lei, cosa c'è dietro a questo attacco dagli Stati Uniti? Qualcuno vuole danneggiare la piazza finanziaria elvetica?
«Non si possono fare delle speculazioni. I membri della commissione avevano delle buone ragioni per essere insoddisfatti della Svizzera. Si tratta di controversie legali, ma ci vorrebbe troppo tempo per parlarne nel dettaglio».
In Svizzera ci sono molti soldi di provenienza russa. Si parla di 200 miliardi. Sinora sono stati bloccati soltanto 7,5 miliardi. Si tratta di un problema per la reputazione del paese?
«No, per niente. Il denaro non è un problema per il fatto di essere russo, ma perché appartiene agli oligarchi. Bisogna dunque chiedersi quanti di questi soldi appartengano a loro. Sinora abbiamo congelato otto miliardi di franchi appartenenti a persone sanzionate. Sono circa mille le persone presenti sull'elenco delle sanzioni. I fondi interessati dal provvedimento sono i loro, non quelli dei normali consumatori russi».
Cosa ne pensa della proposta politica di utilizzare i soldi congelati in Svizzera per la ricostruzione dell'Ucraina?
«Le principali domande sono: quando finirà la guerra? Quando potremo iniziare a ricostruire il paese? E quanto costerà? Secondo le attuali stime, serviranno almeno 600 miliardi di dollari. Si tratta di una cifra immensa. Una possibilità sarebbe quella di utilizzare i beni degli oligarchi che sono stati bloccati, ma si tratta di espropriazione. Per una tale misura avremmo bisogno di una norma speciale nella legge e forse anche nella Costituzione. Sarebbe possibile, ma la procedura sarebbe lunga e il Consiglio federale non ne ha ancora discusso».
Come mai la Svizzera non ha fatto di più per fungere da intermediario tra Ucraina e Russia?
«C'è diplomazia prima, durante e dopo una guerra. Prima della guerra abbiamo fatto molto. Blinken e Lavrov erano a Ginevra, dove c'ero anch'io, e abbiamo fatto molto per evitare che scoppiasse la guerra. Purtroppo non abbiamo raggiunto l'obiettivo. Nel corso della guerra abbiamo chiaramente dichiarato quali sono i nostri valori e siamo stati messi sulla lista dei paesi ostili alla Russia. Per questo motivo, al momento non possiamo fare molto per una mediazione diplomatica. Anche dopo la guerra sarà necessaria molta diplomazia, si pensi al rapporto tra l'Ucraina e la Russia. Possiamo fare qualcosa soltanto se entrambe le parti lo vogliono. Siamo sempre in contatto con entrambi i paesi, non possiamo interrompere le relazioni».
Perché la Svizzera non resta completamente neutrale, limitandosi a mediare? Accettando le sanzioni, ci schieriamo con gli Stati Uniti e rischiamo una guerra nucleare.
«Posso garantire che rimaniamo neutrali. La neutralità ha un nocciolo duro: il diritto della neutralità. La politica della neutralità evolve invece nel tempo. Stavolta la violazione della Carta delle Nazioni Unite era così grave, che non potevamo tacere ma dovevamo condannarla fermamente. Ma non è per questo che abbiamo perso la nostra neutralità».
Comprende la paura di una guerra nucleare?
«Sì, certamente. Per ogni guerra abbiamo discusso di neutralità, non si tratta di una novità. Alla fine di marzo ho commissionato un rapporto per l'aggiornamento del concetto di neutralità. Questo dovrebbe aiutarci a classificarla storicamente e a discuterne politicamente. Per quanto riguarda la paura di una guerra nucleare: in caso di escalation, non si può escludere che vengano usate armi nucleari tattiche. Ci stiamo preparando a vari scenari, fra i quali c’è anche questo. Purtroppo in una guerra non si può mai escludere nulla».
Come mai la Svizzera ha adottato sanzioni nei confronti della Russia senza interpellare i cittadini?
«La Svizzera decide le sanzioni basandosi sulle leggi che sono state accettate dal popolo. Secondo tali leggi, il Consiglio federale deve attuare le sanzioni dell'ONU, perché ne siamo membri. Possiamo anche adottare le sanzioni dell'Ue. Negli ultimi anni abbiamo adottato l'80% delle sanzioni dell'Ue, anche se non eravamo costretti a farlo».
Come mai il Consiglio federale consente ancora ad aziende elvetiche di operare in Russia?
«Perché sono le aziende stesse che decidono di restare in Russia, con tutti i rischi che vi sono. Il Consiglio federale non determina se le aziende possano essere presenti o meno. È così in una democrazia libera con un'economia di libero mercato».
Quest'anno lei è il presidente della Confederazione e, per così dire, il capo di un consiglio formato da sette persone. Lei cos'ha di diverso rispetto al suo predecessore?
«È difficile rispondere. Sono il primo presidente che traghetta il paese da una crisi all'altra. Non ho avuto nemmeno ventiquattro ore tra il momento in cui abbiamo dichiarato la fine della pandemia e l'inizio della guerra in Ucraina. Devo fare tutto il possibile per garantire il funzionamento dell'intero Consiglio federale e per il rafforzamento della coesione svizzera».