I ragazzi non vogliono più vivere basando la vita sul lavoro. Ma gli esperti temono per l'AVS
Non si può però parlare di una generazione fannullona: «Hanno idee diverse sulla vita e sulla cultura del lavoro» afferma la psicologa Nicola Jacobshagen.
BERNA - Work hard, play hard: questo motto non si applica quasi più oggi. Invece di dare tutto per il denaro e la carriera, i giovani in particolare sono più attirati dal relax, dalla famiglia e dalla collaborazione, come spiega a 20 Minuten Christian Fichter, psicologo sociale e aziendale dell'Università di Scienze applicate di Kalaidos.
La Generazione Z, che comprende i nati tra il 1997 e il 2012, vuole lavorare soprattutto a tempo parziale e da casa. Se per una volta il lavoro si protrae fino al weekend, in molti non sono disposti a trattenersi in ufficio, afferma Diana Gutjahr, membro del consiglio direttivo dell'Unione svizzera delle arti e mestieri (Usam).
Pochi giorni fa Roland Mack, direttore dell'Europapark, ha dichiarato in un'intervista alla Basler Zeitung: «I venticinquenni vengono e vogliono lavorare solo tre giorni, ma hanno ancora tutta la vita davanti a loro, potrebbero diventare qualcuno, assumersi responsabilità, fare carriera».
«La prosperità non deriva dal relax»
Il cambiamento di valori verso una maggiore disponibilità di tempo libero è stato influenzato in Svizzera anche dal benessere. Tuttavia «la prosperità non nasce dal relax, ma dai momenti di difficoltà» afferma Fichter.
Cosa significa quindi per l'economia quando i dipendenti non sono più disposti a lavorare al 100% e oltre? Rudolf Minsch, economista a capo di Economiesuisse, teme che la carenza di lavoratori qualificati aumenterà, con conseguenze sulla produttività. Oltre alle limitazioni dell'offerta, la mancanza di manodopera è la più grande minaccia per l'economia.
Il professore di scienze bancarie Martin Janssen vede il pericolo soprattutto nella pensione AVS: «Il modello AVS non può essere mantenuto così com'è se la Generazione Z lavora solo al 60%». I contributi per la pensione AVS sono versati dalla generazione che lavora oggi per i pensionati attuali. Se lavorano meno persone, i contributi saranno minori, prosegue Janssen. Questo può essere compensato solo se i lavoratori pagheranno contributi più alti, o se le prestazioni verranno ridotte.
Il professore di economia Reiner Eichenberger dell'Università di Friburgo invece non crede che sarebbe un peccato se più persone lavorassero a tempo parziale: «In passato l'uomo andava a lavorare, e la donna si occupava delle faccende domestiche. Oggi lavorano entrambi, ma in maniera ridotta. C'è equilibrio». La Svizzera è comunque un paese di lavoratori. In altre nazioni, come la Danimarca, la settimana lavorativa è di sole 34 ore. Ma Eichenberger chiede che lo Stato tenga però conto di quanto si lavora quando si pagano le tasse. «Non è possibile che due persone con lo stesso reddito - una ben istruita a spese dello Stato e con un carico di lavoro notevolmente ridotto, l'altra senza studi ma con due lavori straordinari - paghino lo stesso ammontare di tasse».
«La Generazione Z aiuta a contrastare la carenza di lavoratori qualificati»
La psicologa del lavoro Nicola Jacobshagen sostiene che non può etichettare la generazione più giovane come fannullona: «Hanno idee diverse sulla vita e sulla cultura del lavoro. Per loro non ruota tutto attorno al lavoro». Inoltre la Generazione Z è ancora molto giovane, e continuerà a svilupparsi nei prossimi anni: «In quanto nativi digitali, molti di loro saranno in grado di influenzare positivamente la digitalizzazione e di ridurre la carenza di lavoratori qualificati nel settore IT ad esempio» prosegue Jacobshagen.
L'economia e la società devono ancora adattarsi al nuovo atteggiamento lavorativo di questa nuova generazione. Sono necessari «studi a lungo termine» per poterne determinare gli effetti, conclude Jacobshagen.