Jean-Philippe Kohl, di Swissmem, ammette la situazione complicata: «Ma non ci aspettiamo un'ondata di fallimenti»
Come reagiranno le aziende improntate all'export? «Può essere che decidano di delocalizzare (all'estero) alcune attività industriali»
LUGANO - I timori c'erano, e ci sono stati i primi cedimenti a seguito della difficile situazione economica in cui versa il nostro Paese, come il resto d'Europa e del mondo.
L'azienda Knobel di Frauenfeld - leader nel suo settore - ha infatti ufficialmente dichiarato bancarotta settimana scorsa. La motivazione principale data dal consiglio di amministrazione riguarda la crescente debolezza dell'euro, che ha peggiorato la competitività perché i costi erano sostenuti principalmente in Svizzera, mentre la maggior parte delle entrate proveniva dall'area dell'euro. Tutto questo, subito dopo la dura crisi dovuta al coronavirus.
Il produttore di macchinari per lo stampaggio di prodotti di cioccolato ha quindi dovuto lasciare a casa 60 dipendenti. Un numero che però non deve far pensare che sia un'azienda di poco conto: si tratta di un leader nel settore attivo a livello internazionale, nonché pioniere (ha sviluppando il primo macchinario di questo tipo), con centinaia di macchine dell'azienda in uso in tutto il mondo.
C'è paura che questo sia solo l'inizio, e che seguiranno altri fallimenti? Ne abbiamo parlato con il vicedirettore di Swissmem - l'associazione dell'industria metalmeccanica ed elettrica svizzera - Jean-Philippe Kohl.
Siete preoccupati ? Temete che ci saranno molti fallimenti a causa dell'euro debole?
«Siamo preoccupati, è normale, non è mai bello quando un'azienda del nostro settore fallisce e deve licenziare il personale. Anche perché si tratta di un'azienda leader di un determinato settore. Non era un'azienda membro di Swissmem, ma comunque appartiene al settore dell'ingegneria meccanica e quindi questo ci tocca particolarmente. In ogni caso, non temiamo che questa situazione possa portare a un'ondata di fallimenti. Quello che temiamo di più con il franco molto più forte dell'euro è che le aziende e i loro mercati di riferimento siano sempre più sotto pressione. Ciò pone diverse sfide alle aziende, che si trovano sotto la pressione di dover adattarsi o riorganizzarsi, ed è una chiara situazione di stress».
La Banca Nazionale Svizzera dovrebbe fare qualcosa?
«La BNS è già intervenuta per combattere l'inflazione, e questo naturalmente ha contribuito al rafforzamento del franco svizzero. Comunque, noi comprendiamo questa decisione: la lotta all’inflazione è l'obiettivo che la BNS deve perseguire, e d'altronde non aveva molte alternative. A nostro parere, l'inflazione deve sempre essere combattuta il più presto possibile e non bisogna aspettare troppo: una volta aumentata, è molto difficile correggerla. Questo vale anche per la Banca Centrale Europea, che probabilmente ha reagito troppo tardi».
...e il Consiglio federale?
«Il governo federale non può fare nulla (intervenire o sostenere in alcun modo) nei confronti delle singole aziende. Però, c'è qualcosa che Berna può fare: migliorare le condizioni quadro della piazza economica svizzera. È questo che aiuta le nostre aziende a lungo termine, a rimanere competitive e riuscire ad affermarsi. Modellare e migliorare le condizioni quadro è il compito centrale delle autorità».
Cosa possono fare le aziende orientate all'export in questi casi?
«Non vogliamo dire alle aziende cosa fare, perché chiaramente conoscono la loro realtà e lo sanno meglio di noi. Quello che possiamo dire, essendo in stretto contatto con le nostre aziende, è che quando la pressione diventa grande la prima cosa da fare è cercare di trovare il massimo potenziale di efficienza dell'azienda. Ci sono sempre modi per fare meglio e per eliminare alcuni tempi morti, aumentando l'efficienza complessiva»
Cosa faranno le aziende, secondo voi?
«Se la forza del franco dovesse continuare ad aumentare, le aziende prenderanno in considerazione la delocalizzazione (all'estero) di uno o più processi nella catena di creazione di valore. Non tutta l'azienda, di solito non succede, ma può essere deciso che alcuni processi e/o attività industriali non vengano più svolte in Svizzera (sono diventate troppo costose) e vengano quindi esternalizzate in altri Paesi europei».